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Denominazione
Vicino al bacino dell’Acquedotto della Vergine venne costruito un tempietto con un’immagine dipinta della ninfa delle sorgenti. Questo dipinto dette origine alla leggenda con la quale si cercò di  spiegare il nome dato all’acquedotto, che probabilmente, invece, voleva ricordare la limpidezza e la freschezza delle acque. Si trattava di un’acqua tanto leggera, che non danneggiava l’acquedotto con il calcare. La leggenda narrava che una fanciulla avesse indicato ai soldati di Agrippa le sorgenti fino ad allora cercate senza trovarle e da quel momento chiamate appunto della Vergine.
Periodo Storico

Inaugurato il 9 giugno del 19 a.C., quest’acquedotto fu fatto edificare da Agrippa per rifornire d’acqua le sue terme situate nel Campo Marzio. Dopo venti secoli, l’Acquedotto dell’Acqua Vergine è l’unico ad essere ancora in funzione.  Le sorgenti da cui si originava erano dell’Agro Luculliano, vicino al fiume Aniene, all’VIII miglio della via Collatina (cioè al km.10,5 dell’attuale via dello stesso nome). Diverse polle e vene acquifere venivano raccolte in un bacino artificiale. Lungo il percorso si aggiungevano altre acque, provenienti da bacini di acque piovane. La quantità  giornaliera d’acqua fornita era di 2504 quinarie (pari a mc 103.916 e 1202 litri) al secondo delle quali 200 venivano erogate nel Suburbio, mentre le 2304 che giungevano in città erano distribuite attraverso 18 “castelli” (cioè, impalcature) secondari in modo che 1457 andavano per le opere pubbliche, 509 alla casa imperiale e le restanti 338 alle concessioni private.
Percorso
Il percorso dell’acquedotto era lungo poco più di 14 miglia (ossia oltre 20 chilometri), tutto sotterraneo, tranne circa 2 chilometri che correvano sia su sostruzioni (costruzioni di sostegno sotterranee) che su arcuazioni (arcate) continue nell’ultimo tratto attraverso il Campo Marzio. Nei punti in cui il condotto cambiava direzione, esso formava una doppia curva che aveva lo scopo di far rallentare il deflusso dell’acqua favorendone la decantazione. L’acquedotto, proveniva da est, ma entrava in città da nord dopo aver disegnato un “arco” ampio e lungo, per rifornire l’ampio settore suburbano settentrionale, rimasto fino ad allora completamente senza approvvigionamento idrico, e portare l’acqua al Campo Marzio senza dover attraversare zone della città già intensamente costruite. Poiché le sorgenti erano basse sul livello del mare e molto vicine a Roma, l’acqua non poteva raggiungere un livello tanto elevato. Il percorso seguiva la via Collatina fino alla località di Portonaccio, dove raggiungeva la via Tiburtina e l’Aniene, che attraversava nella zona di Pietralata; poi andava lungo la Nomentana e la Salaria dalla quale, girando verso sud, attraversava le attuali zone di Villa Ada e dei Parioli, Villa Borghese, il Pincio, Villa Medici, entrando in città dalle parti del Muro Torto. Per quanto riguarda il percorso urbano, vi sono ancora resti delle arcuazioni: partendo da sotto il Pincio (presso gli Horti Luculliani), in cui si trovava la piscina limarla (dalla quale deriva il nome del vicolo del Bottino), proseguiva lungo la via del Nazareno (dove si conservano, parzialmente interrate, tre arcate di travertino in blocchi con un’iscrizione che ricorda il rifacimento di Claudio); attraversava quindi la zona della Fontana di Trevi e l’area oggi occupata dal Palazzo Sciarra (nei cui sotterranei si trovano le rovine di altre due arcate, pure in blocchi di travertino del restauro di Claudio, con una luce di m. 3,15), scavalcava la via Lata (oggi via del Corso), con un’arcata trasformata in seguito in arco trionfale in onore di Claudio per celebrare la conquista della Britannia, proseguiva lungo la via del Carovita, piazza di Sant’Ignazio e la via del Seminario, all’inizio della quale doveva trovarsi il “castello” terminale, e finiva così vicino al Pantheon e alle  Terme di Agrippa. Si sa che un ramo raggiungeva Trastevere. L’Acquedotto della Vergine è in funzione ed è tuttora accessibile nel suo tratto sotterraneo per ispezioni e controlli. Il canale coperto, percorribile in barca, è largo circa m. 1,50 e in alcune zone è in muratura realizzata con cemento e reticolato; quando invece attraversa blocchi di tufo, è direttamente scavato in galleria. Nella zona delle colline suburbane raggiunge la profondità di 30-40 metri, con una punta massima di 43 ai Parioli (viale Romania). L’impianto di raccolta delle sorgenti, ancora funzionante e ispezionato in occasione di ripuliture e restauri. Nel sottosuolo esse fluiscono per il vasto bacino di acque piovane attraverso i banchi di pozzolana e di tufo, e fuoriescono con rivoli e polle attraverso il terreno poroso e impermeabile. Una rete di cunicoli raccoglie le acque sorgive indirizzandole prima in diversi rami e poi nel canale principale. Oltre che nei cunicoli, le acque venivano raccolte in un bacino artificiale, chiuso a valle da una lunga diga in calcestruzzo ed esistente nel secolo scorso (ma poi interrato).
Trasformazioni
L’utilizzo dell’acquedotto per due millenni ha comportato numerosi interventi di manutenzione, di restauro e di parziale rifacimento. Nell’antichità i principali si ebbero al tempo di Tiberio nel 37 d.C. e soprattutto di Claudio (45-46 d.C.): essi comportarono il rifacimento delle arcuazioni nell’area urbana in blocchi bugnati di travertino, caratteristici dell’epoca. Restauri si ebbero anche al tempo di Costantino, mentre al tempo di Teodorico veniva ancora decantata la purezza dell’acqua. Nel Medioevo furono fatti eseguire lavori da papa Adriano I nella seconda metà dell’VIII secolo, dal Comune cittadino nel XII secolo e, nell’età moderna, dai papi Nicolò V, Sisto IV, Pio IV e Pio V, Benedetto XIV e Pio VI. Oggi, purtroppo, l’Acquedotto Vergine viene progressivamente “intubato”, alternandolo con strutture di cemento che distruggono quelle antiche. Inoltre, l’acqua, un tempo tanto celebrata per purezza e leggerezza, è stata profondamente inquinata da un’urbanizzazione incontrollata che s’è “sovrapposta” all’antico canale e alle stesse falde idriche. Così l’acqua Vergine (o Acqua di Trevi, com’è stata ribattezzata dopo la costruzione dell’omonima fontana), che fino a qualche decennio fa era ancora ricercata per essere bevuta in alternativa a quella più comunemente “calcarea” (come l’Acqua Marcia), è ormai utilizzata solo per l’irrigazione e l’alimentazione di alcune delle più belle e celebri fontane romane: quella della Barcaccia, a piazza di Spagna, la Fontana di Trevi e quella dei Fiumi, a piazza Navona.