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FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI PER LE FUNZIONI-OBIETTIVO
(Mariella Spinosi) 1. P remessaFinalmente il 29 dicembre scorso l’Osservatorio di Orientamento e Monitoraggio della formazione costituito ai sensi del comma 3 dell’articolo 12 del CCNL del 26.5.1999, ha definito il documento di indirizzo sulla formazione degli insegnati incaricati di svolgere le funzioni-obiettivo, previste dall’art. 28 del contratto citato. Il compito dell’Osservatorio, infatti, è quello "di individuare i criteri generali di riconoscimento dei crediti formativi e professionali e di contribuire alla progettazione dei relativi corsi". Gli insegnanti chiamati ad assumere questa nuova responsabilità chiedevano di essere sostenuti fin dall’inizio nei loro compiti, consci che ogni novità, anche apparentemente semplice, ha sempre bisogno di essere indagata in tutti i suoi aspetti. Un avvio precoce di azioni formative sarebbe stato molto utile anche per aiutare i docenti ad esplorare meglio la natura dell’incarico. Negli uffici provinciali serpeggiava già una certa impazienza nella consapevolezza delle difficoltà di organizzare azioni e percorsi formativi che coinvolgono grandi numeri, soprattutto in una fase di profonda trasformazione in cui non si possono più reiterare le vecchie formule ma non ci sono ancora tutte le condizioni per costruirne delle nuove. I fondi erano già stati attribuiti con una nota (prot. n. 148) del 22 novembre ’99 nella quale si riassumevano alcune scelte contrattuali, si anticipavano alcune informazioni, ma si diceva anche che per i contenuti formativi ci sarebbero stati degli orientamenti dell’osservatorio. Prima di entrare nel merito del documento e cercare di capire come esso possa costituire un aiuto sostanziale alle periferie, riassumiamo, a grandi linee, i punti essenziali della questione.
Naturalmente questi aspetti essenziali, pur facendo già presagire il percorso formativo da seguire non sono però sufficienti a definirlo in dettaglio, considerando che diversi sono i nodi da sciogliere volendo evitare il ritualismo formale delle consuete procedure corsuali e volendo, in tal modo, interpretare operativamente le nuove prospettive contenute nella direttiva 210/99. Ci poniamo, allora, alcune domande.
Dal documento dell’Osservatorio tutti si aspettavano le risposte a queste e ad altre domande, visto che i contratti e la direttiva, oltre ad aver sancito dei principi (ed è una novità molto interessante), poco hanno potuto dire in quanto ad aspetti tecnici ed organizzativi. Le note che seguono hanno lo scopo di leggere il documento di orientamento dell’Osservatorio partendo dalle domande più impellenti, di sottolineare le indicazioni basilari, di capire ed interpretate ciò che appare incerto o complesso, di suggerire dei comportamenti sensati laddove non si trovano risposte precise facendo riferimento, in questo caso, ai principi espressi nella direttiva e, più genericamente, a quelli che sorreggono l’intero impianto delle riforme in atto.
2. I docenti incaricati di svolgere le funzioni-obiettivo
Quanti docenti? Quanti sono i docenti incaricati di svolgere le funzioni-obiettivo che devono seguire l’azione formativa almeno di 30 ore? Più di 58 mila potrebbe essere la risposta giusta. Ma già qui subentrano i primi problemi numerici collegati con due ordini di questioni. In tutte le scuole sono state assegnate le funzioni ad esse attribuite? Cosa chiedono i docenti vicari nei confronti dei quali i sindacati, concordemente, sembrano voler escludere, per adesso, da ogni azione formativa? Solo queste due riflessioni portano in campo alcune vaghezze, anche di tipo numerico, che possono creare qualche iniziale problema dal punto di vista organizzativo. In riferimento al primo aspetto, il comma 3 dell’articolo 28 del contratto integrativo dice che "le scuole invieranno tempestivamente al competente Provveditore agli studi – che le trasmetterà subito all’Osservatorio – schede informative aggiornate in ordine alla quantità e alla tipologia degli incarichi conferiti e ciò allo scopo di effettuare il monitoraggio previsto, utile anche ad apportare eventuali modifiche o integrazione ai criteri operativi adottati in sede di contrattazione integrativa". Questo comma è molto categorico nei contenuti, ma generico nei tempi. Cosa significa, infatti, "tempestivamente" e "subito"? Attualmente non si dispongono, a livello nazionale, di queste informazioni, anche se molti sono stati gli uffici provinciali che hanno fin dall’inizio avviato un’indagine conoscitiva con risultati molto interessanti. È mancato dal centro qualche suggerimento circa l’uso di uno strumento omogeneo che avrebbe potuto accelerare e facilitare la raccolta dei dati e predisporre le condizioni (quantitative) per un successivo monitoraggio, così come previsto dal contratto; ciò forse poteva rappresentare una strategia utile considerato che tutta l’operazione presenta caratteri di complessità. Avendo le scuole, per esempio, interpretato le quattro aree funzionali (Gestione del POF, sostegno al lavoro dei docenti, servizi per gli studenti, progetti formativi d’intesa con enti ed istituzioni esterni alle scuole) non in termini categorici, ma solo come suggerimenti, diventerà alquanto ardua una classificazione delle tipologie. Molte infatti sembrano le scelte autonome effettuate. Alcuni esempi: – alcune aree sono state aggregate ed assegnate ad una sola figura; – altre sono state disaggregate ed affidate a più soggetti; – alcuni docenti hanno avuto la responsabilità di seguire funzioni sparse riconducibili a tutte le aree; – alcune scuole hanno inventato funzioni o aree non suggerite dal contratto (esempio: area "dell’obbligo") Se a queste incertezze si aggiungono i diversi comportamenti assunti dai docenti vicari la questione diventa ancora piò complessa. Non esiste, infatti, un unico profilo funzionale del docente vicario; il contratto fa genericamente riferimento alle "disposizioni vigenti" per "la scelta delle modalità di svolgimento delle competenze". Le disposizioni vigenti non individuano però precisi profili e ci sono prassi anche molto differenti tra loro in relazione alla diversità di situazioni scolastiche. Per esempio i comportamenti abituali dei docenti vicari nelle scuole elementari e materne sono molto differenti da quelli negli istituti superiori. Se per questi ultimi si possono anche intravedere altre mansioni rispetto a quelle descritte nelle aree funzionali, non avviene la stessa cosa per i primi che hanno sempre svolto attività così come sono descritte nel contratto. Ne deriva che molti docenti vicari, che hanno assunto una o più funzione oltre la propria specificità, chiedono di seguire l’azione formativa. L’organizzazione di azioni formative non partono quindi da un dato numerico certo, esso dovrà essere acquisito nel corso delle operazioni preliminari.
Formazione dei vicari Nel documento di orientamento dell’Osservatorio nulla viene detto in merito alla formazione dei docenti vicari. Che tipo di risposta potrebbe dare un ufficio provinciale, centro di spesa per le azioni formative? L’esclusione dei vicari potrebbe determinare una disparità di trattamento, specialmente nei confronti di coloro che hanno assunto una o più funzioni indicate nelle quattro aree dell’all. 3 del contratto. L’inclusione generalizzata potrebbe suscitare reazioni da parte di coloro che hanno inteso la funzione vicaria altra cosa rispetto alle attività collegate con le quattro aree funzionali, i quali potrebbero richiedere una formazione ad hoc come eventuale "altra area", ma che allo stato attuale non è prevista dalle norme contrattuali e né per essa sono stati identificate risorse finanziarie. Inoltre l’inclusione generalizzata comporterebbe un maggior fabbisogno finanziario e con notevoli difficoltà a reperirlo. Dal momento, però, che la partecipazione al corso rappresenta un credito spendibile anche al fine di successivo accesso alla funzione, e considerato che l’incarico di svolgere una funzione-obiettivo potrebbe facilitare la progressione della carriera, la mancata partecipazione potrebbe costituire un danno, o comunque creare un limite, anche in questo settore. Si potrebbe risolvere in parte la questione definendo, in sede di contrattazione decentrata provinciale con i sindacati, alcuni accordi tra scuole e provveditorati per incrementare l’eventuale fabbisogno finanziario, dopo aver individuato le domande degli interessati (cioè quanti vicari intendono partecipare ai corsi di formazione). Ogni scuola, per esempio, potrebbe contribuire con una base quota di 100.000/120.000 lire per ogni unità interessata al corso di formazione e il provveditorato agli studi potrebbe incrementare il budget previsto con una cifra congrua rispetto agli obiettivi del progetto formativo, da detrarre dalle diverse fonti di finanziamento (PPA, L. 440…). È questa, infatti, una delle possibili strade da percorrere già, tra l’altro, utilizzata da alcuni uffici provinciali.
Domande ed esigenze Ma quali sono i bisogni dei docenti che si trovano per la prima volta a ricoprire un incarico nuovo, con delle responsabilità diverse rispetto alla normale gestione d’aula? Ci sono, con tutta probabilità, molti insegnanti che in passato si sono trovati a vivere i processi di riforma in maniera attiva e partecipata ed hanno già acquisito un nuovo know how, hanno già idee in merito, conoscono le questioni organizzative, i problemi relativi alle azioni specifiche richieste, le difficoltà di rapporti, sanno che occorrono competenze comunicative e relazionali notevoli perché il lavoro svolto possa acquisire rilevanza. Ci sono docenti, invece, che si trovano un po’ per caso a ricoprire tali funzioni, vuoi perché sollecitati dal capo d’istituto, vuoi per spirito di servizio o per mancanza di alternative. Certamente le esigenze di questi sono diverse rispetto a quelle di coloro che hanno una lunga storia di collaborazioni; qui si tratta di incominciare da studi di primo livello; se questi ultimi hanno bisogno di informazioni di base i primi hanno invece la necessità di riflettere sulle esperienze per ricavare da esse modalità e regole più generali. Ci sono inoltre le differenze tra le diverse aree funzionali o tra le varie funzioni indipendentemente dall’area di riferimento. Oltre a competenze di ordine trasversale che sottendono ogni comportamento professionale ci sono anche quelle specifiche relative alle azioni richieste da ogni singola funzione, la quale si caratterizza anche in relazione al tipo di scuola in cui il docente opera; la diversità nasce sia dalla differenza di ordine scolastico, sia dalle differenze derivanti dalla varietà di condizioni che definiscono il cosiddetto "clima" scolastico. Poi ci sono le esigenze che gli insegnanti non sanno magari di avere perché non conoscono ancora tutti i risvolti del compito che sono chiamati a svolgere. Come fare, quindi, per rilevare i così tanti bisogni? Come fare perché da tali bisogni scaturiscano scelte formative coerenti? Già da una prima rilevazione empirica sembra che a livello provinciale molte siano state le strategie utilizzate: – avvicinamenti e contatti diretti, approcci ufficiosi, informali, confidenziali, attraverso telefonate e sportelli; – incontri con discussioni in gruppi di lavoro; – indagini tramiti questionari; – acquisizioni di informazioni attraverso le narrazioni dei soggetti interessati; – analisi e riflessioni utilizzando dei focus group. Da qui, la necessità di ordinare le domande dei docenti e di predisporre proposte organizzative adeguate ai bisogni espressi. Non è certamente una operazione facile considerata la varietà delle domande e la molteplicità delle risorse degli stessi docenti che, sicuramente, si renderanno evidenti. Il documento dell’Osservatorio ci mette a disposizione alcuni suggerimenti. Nel punto 5 si sottolinea che "occorrerà privilegiare tutte le metodologie che si basano sull’interattività e sulla ricerca-azione (…) con particolare attenzione alla riflessione sulle esperienze effettuate, al confronto tra le diverse pratiche, alla ricaduta sulle didattiche e sul modello organizzativo, alla costruzione di nuovi percorsi operativi". Ma queste indicazioni fanno nascere alcune domande che comportano scelte operative differenti in relazione alla natura delle risposte. Dove collocare il momento della rilevazione dei bisogni, dentro o fuori il modulo delle 20 ore? Seguendo i suggerimenti del documento dell’osservatorio, nulla vieta di considerare questa fase come parte integrante del modulo formativo. Ma considerando che le 20 ore non rappresentano un limite invalicabile, ma il minimo accettabile, si potrebbe anche aggiungere a queste una fase "propedeutica" volta ad avviare le attività partendo proprio dai problemi espressi dai docenti stessi. Resta comunque il problema della diversità dei livelli di competenza: chi si trova un po’ per caso a ricoprire tali incarichi avrà sicuramente bisogno di informazioni di base per partire, avrà bisogno di un tempo diverso per riflettere e capire. Nel documento dell’Osservatorio, al punto 6.a, si dice che ci sarà il supporto di materiale didattico organizzato in CD Rom della durata di 10 ore di cui 5 relative ad alcuni contenuti fondamentali e 5 alle specifiche funzioni-obiettivo e che il materiale prodotto sarà disponibile in internet con un servizio di help line per facilitare i docenti nell’uso. Tale modulo nazionale potrebbe essere utilizzato in maniera diversa: come supporto per chi deve entrare ancora dentro i processi, come libro virtuale da sfogliare sulla base dei bisogni che scaturiscono di volta in volta, come strumento di approfondimento personale, come ambiente per comunicare e condividere esperienze. Si tratta di vedere come sarà possibile riuscire a costruire delle offerte formative tali da non mortificare, con la logica dell’appiattimento su una media ipotizzata, i bisogni e le domande professionali di ognuno.
Distribuzione territoriale La distribuzione territoriale rappresenta una variabile importante. Ci sono province molto piccole (come Isernia con 153 Funzioni-obiettivo o Biella con 159) che, avendo facilmente a disposizione il quadro esatto delle domande, possono utilizzare dei sistemi organizzativi abbastanza semplificati che permettono comunque di tener presente le esigenze di tutti. Ci sono province come Roma, Napoli, Milano (3413, 3479, 2933 funzioni rispettivamente attribuite) che dovranno immaginare invece soluzioni molto più articolate. Il documento dell’Osservatorio, al punto 6.b, raccomanda "una dislocazione organizzativa in modo funzionale per assicurare la più diffusa copertura del territorio". Ciò rappresenta un principio da seguire volto sicuramente ad evitare ai docenti i disagi di eventuali spostamenti, ma anche a garantire una migliore soddisfazione delle domande. È importante, per questi motivi, evitare di reiterare le formule già sperimentate per altre situazioni passate senza una riflessione più approfondita sul significato della funzionalità della dislocazione territoriale. Si possono, per esempio, immaginare anche soluzioni differenti tra zona e zona superando la logica delle pianificazioni organiche. Se alcune scuole hanno tra di loro dei contatti positivi indipendentemente da rapporti formali di rete, perché non valorizzarli favorendo che gli stessi docenti interessati siano dentro il medesimo modulo formativo? Molto difficile sarà, comunque, per gli uffici provinciali di una certa dimensione sul piano quantitativo trovare delle soluzioni che non smentiscano i concetti di base. Oltre all’identificazione di un responsabile di progetto, principio oramai ineludibile, l’Unità territoriali di servizi professionali potrebbe rappresentare la struttura organizzativa in grado di trovare strategie adeguate per le specifiche esigenze oltre che in grado di costruire piani generali nei quali collocare proficuamente soluzioni anche originali. Le Unità territoriali, come suggerito dal Ministro nella Direttiva 210, dovrebbe coniugare le risorse degli uffici provinciali già esistenti, come gli uffici studi, le commissioni di lavoro, i referenti per l’aggiornamento, gli ispettori tecnici con quelle espresse dai nuclei di supporto per l’autonomia. Si dovrà, comunque, considerare, nell’istituzione di tale organismo, che l’obiettivo è mirato al conseguimento tempestivo ed efficace di risultati; si dovranno pertanto abbandonare scelte di tipo rappresentativo o formale per scelte fondate su capacità e competenze. Il Nucleo, per la parte che si occupa di formazione, potrebbe costituire il tavolo delle scelte condivise, l’unità territoriale potrebbe assumere un ruolo tecnico ed operativo, il responsabile di progetto potrebbe essere un soggetto interno all’unità stessa che assume in tal modo la responsabilità dell’unitarietà del programma e della funzionalità complessiva delle azioni formative.
3. I soggetti incaricati di organizzare i piani formativi
Organizzazione del piano A chi compete, quindi l’organizzazione del piano formativo? I fondi sono stati assegnati nei bilanci dei provveditorati agli studi (nota prot. n. 148 del 22/11/1999), ma è stato detto successivamente che "all’Amministrazione scolastica periferica (…) competono compiti di coordinamento e di pilotaggio del sistema di formazione (…) piuttosto che di gestione diretta delle iniziative stesse. (nota dell’11/1/2000 citata). Inoltre nel comma 1 dell’art. 17 del CCNI/99, riportato nello stesso documento dell’Osservatorio, si legge che "i corsi saranno realizzati dall’amministrazione periferica, da reti di scuole, dalle Accademie e Conservatori di musica o da soggetti qualificati e/o accreditati". Ciò fa presupporre che l’Amministrazione possa avere la funzione di gestione diretta. Ma tale soluzione sarebbe contraria al principio generale che vuole la funzione di indirizzo separata dalla funzione di gestione. Come declinare queste indicazioni non troppo coerenti tra loro in atti e comportamenti? Quali sono le azioni che un ufficio provinciale, attraverso il responsabile di progetto, deve avviare immediatamente per poter poi iniziare a svolgere il proprio compito? (coordinamento, pilotaggio, gestione?). Il documento dell’osservatorio, poco dice in merito: "i corsi saranno realizzati, a livello provinciale anche alla luce di quanto previsto dal contratto integrativo nazionale concernente la formazione e l’aggiornamento del personale della scuola per l’esercizio finanziario 2000, sottoscritto il 29/12/1999 e dalla Direttiva sulla formazione dell’anno 2000". Ma alcune indicazioni di percorsi si possono ricavare dalla nota già citata del Direttore Dutto in cui si suggerisce agli uffici provinciali una progressione di operazioni per redigere il piano formativo.
Si dice inoltre che "Il confronto tra le proposte dovrà tener conto della metodologia innovativa indicata nel documento dell’Osservatorio (punto 5) con particolare riferimento alle modalità attive di intervento, al ruolo dei coordinatori dei gruppi di formazione e alle mappe delle competenze e delle conoscenze trasversali e specifiche già descritte nel documento stesso". Altra cosa è l’organizzazione del modulo a livello nazionale che è affidato alla BDP, la quale avrà il compito di predisporre un CD Rom ed una serie di materiali in rete, utile anche alla personalizzazione dei percorsi, corrispondente ad un credito di 10 ore. Sarà necessario, comunque che i due moduli siano trattati come due aspetti di uno stesso percorso, e che il responsabile di progetto abbia cura di garantirne l’unitarietà.
Affidamento dei corsi Dove realizzare i corsi di formazione? A chi affidarli? Nella predisposizione del piano si dovranno prendere in considerazione i bisogni e le offerte formative, la dislocazione dei docenti e i "luoghi" ove realizzare i diversi moduli. Non è un lavoro di poco conto, richiede conoscenze dei soggetti e delle variabili, attenzione ed ascolto, competenze organizzative e relazionali. Si tratta di verificare, innanzitutto, quali scuole o reti di scuole sono maggiormente affidabili e quali altre opportunità esistono nel territorio che possano avere i requisiti per un affidamento. Ci possono essere le Università disposte ad impegnarsi in questo settore; gli IRRSAE in genere sono già ben attrezzati e hanno da tempo competenze da spendere; ci sono gli istituti pubblici di ricerca, le agenzie, i soggetti pubblici o privati cui poter dare tale responsabilità. Ma con quali strumenti? Si possono fare convenzioni, per esempio con le Università, si possono stabilire rapporti di affidamento con gli IRRSAE e con le scuole, si possono stilare contratti con agenzie e con soggetti pubblici e privati. Questo tipo di operazione non deve essere confusa con la scelta delle proposte dei soggetti che offrono formazione (cfr. p. …). In realtà potrebbe esserci anche una forma di coincidenza tra l’offerta formativa scelta e l’affidamento organizzativo del corso. Per esempio una rete di scuole potrebbe essere in grado, per una serie di esperienze già acquisiti, di offrire formazione e in questo caso potrebbe avere oltre che l’affidamento organizzativo anche quello relativo ai contenuti; ma potrebbe anche succedere che la stessa rete di scuola si avvalga per la realizzazione per modulo formativo del contributo di un’agenzia o di soggetti pubblici o privati, reperiti tendenzialmente a livello provinciale, ritenuti, per quelle stesse considerazioni suggerite dalla nota precedentemente citata (n. 356/D dell’11 gennaio 2000), di fatto affidabili
Controllo e monitoraggio Che tipo di controllo e di monitoraggio è possibile a livello provinciale? La presenza di un responsabile di progetto (che dovrebbe essere parte di una struttura di riferimento più ampia: Unità territoriale dei servizi professionale, Nucleo di supporto dell’autonomia…), comporta che si faccia carico di tutte le procedure e, conseguentemente, anche di quella relativa alla previsione degli strumenti e delle modalità di monitoraggio e controllo. Il documento dell’Osservatorio parla di due distinti livelli di monitoraggio, attribuendo alle scuole stesse e ad una "Istituzione specializzata nel settore della valutazione" la titolarità del monitoraggio. Nulla da eccepire in merito, ma non si può immaginare che non ci sia un’azione di controllo dei processi attivati a livello provinciale. Dal documento sugli standard organizzativi si dice che "ogni progetto prevede una valutazione dei risultati (…) e si conclude con un rapporto finale" e che "è attivata una funzione permanente di monitoraggio". Sarebbero interessanti quindi accertamenti in itinere ed accertamenti finali circa la rispondenza tra i criteri scelti e suggeriti dal documento di Orientamento dell’Osservatorio e la realizzazione effettiva dei corsi. Per esempio: rapporto bisogno formativo/offerta formativa, dislocazione omogenea nel territorio, tipologie di affidamento, modalità di controllo dell’unitarietà dei processi, metodologie utilizzate, ecc.
4. I soggetti che offrono formazione
Dall’autorizzazione all’accreditamento Uno degli aspetti più innovativi dei contratti/99 e della direttiva 210/99 riguarda il passaggio dal principio dell’autorizzazione dei corsi di aggiornamento al principio dell’accreditamento dei soggetti che offrono formazione e del riconoscimento, da parte dell’amministrazione, delle iniziative di formazione (comma 1, art 14, CCNI del 31/8/1999). È una svolta fondamentale nel quadro delle riforme in atto. Si tratta ora di vedere fino a che punto, per la formazione dei docenti incaricati di svolgere le funzioni-obiettivo, sia già possibile utilizzare gli esiti di tali processi. Il contratto, infatti, prevede alcune procedure da utilizzare perché i soggetti che lo richiedono possano essere accreditati. Ma come avviene? Quali sono i tempi? Che cosa si deve fare per diventare soggetti accreditati? Entriamo nel merito della questione solo per ciò che concerne il collegamento con i corsi di formazione per le funzioni-obiettivo. Ci sono, innanzitutto, dei criteri di riferimento già stabiliti dalle norme contrattuali (commi 2 e 3, art 14, CCNI del 31/8/1999), ci sono standard organizzativi e di costo. Ma devono essere individuate procedure specifiche da seguire. Cosa si deve fare, allora, in questa situazione transitoria? Aspettare che tutti i soggetti che offrono formazione siano accreditati? Ignorare questo fondamentale cambiamento del comportamento amministrativo? Trovare eventuali mediazioni che tengano conto solo del principio del cambiamento non potendo aspettare la conclusione delle operazioni? Il documento dell’Osservatorio tace su questo aspetto rinviando alle indicazioni contrattuali. Il comma 6° dell’articolo 14 già citato ci dice che "la contrattazione decentrata provinciale individua i criteri con cui i soggetti che offrono formazione partecipano ai progetti definiti a livello territoriale", mentre nell’art. 11 ritroviamo "gli standard organizzativi e di costo, considerati come caratteri ottimali di riferimento per le azioni di interesse generale". Questi riferimenti da soli non ci danno sicuramente le indicazioni sufficienti per decidere "che cosa" si debba fare per la progettazione dei moduli formativi, ci fa capire, comunque, che non si possono ignorare gli standard organizzativi e di costo e che ci deve essere una contrattazione decentrata tramite la quale individuare i criteri che devono regolare la partecipazione dei soggetti che offrono formazione all’attuazione dei corsi. Se andiamo a recuperare le indicazioni suggerite dalla "nota Dutto" più volte citata scopriamo che a livello provinciale, la scelta dei soggetti che offrono formazione deve essere realizzata sulla base di un confronto di proposte, a partire dal rispetto della metodologia già indicata al punto 5 del documento dell’Osservatorio. In questa fase di transizione sembrerebbe, allora, sensato attenersi ai principi innovativi della direttiva e dei contratti, alle indicazioni dell’Osservatorio e del CFI senza la pretesa di aspettare gli esiti delle operazioni di accreditamento. L’attenzione ai principi innovativi è volta ad evitare la reiterazione di vecchie formule corsuali che tanto hanno svilito il senso della formazione e poco o nulla hanno influito sulla natura dei processi, sulle competenze dei docenti, e sul miglioramento della qualità degli esiti formativi degli studenti. Sarebbe stato meglio se la formazione per gli insegnanti con funzioni-obiettivo avesse potuto inaugurare la nuova stagione, annunciata dai contratti/99, attraverso l’utilizzo di soggetti già accreditati secondo le formule di legge. Ma purtroppo nel mosaico del disegno della Riforma non tutti i tasselli finiscono per coincidere. I tempi, infatti, per le procedure di accreditamento diventano troppo lunghi rispetto alle urgenze della realizzazione dei moduli formativi. Non sarebbe stato consigliabile l’ipotesi di accelerare le procedure di accreditamento né tanto meno quella di spostare in avanti lo svolgimento dei corsi.
L’attuale geografia delle offerte di formazione C’è un albo professionale dei formatori? Da sempre le scuole hanno desiderato poter accedere ad una mappa ricca e multiforme di offerte formative, con le necessarie garanzie di competenze accertate. Molte regioni vivono da sempre con disagio la scarsità delle risorse professionali disponibili per attivare innovazioni nei processi di formazione degli insegnanti. Oggi il problema è ancora più impellente. Ci sono nuovi bisogni che stanno emergendo, ci sono nuove tendenze nel quadro della riforma del sistema d’istruzione in atto che vanno colte, capite ed incoraggiate. Per assecondare il processo di trasformazione è necessario che agli operatori scolastici vengano offerte le condizioni migliori per stare dentro i processi. Servizi territoriali, centri risorse o di documentazione per i docenti, istituti di ricerca, associazioni culturali e disciplinari, Università, Irrsae, tutto ciò rappresenta la "fonte energetica" principale per i docenti, perché essi possano crescere progressivamente e in continuità con lo sviluppo dell’autonomia. In alcune regioni tutto ciò è molto diffuso e si presenta con tipologie diverse, specialmente laddove le esigenze di una formazione efficace è stata avvertita fin da subito come base per una professionalità di alto profilo e per l’esercizio del diritto della persona, prima ancora che i corsi di aggiornamento assumessero l’unica identità di dovere istituzionale, magari ineludibile, o semplicemente di adempimento formale.
Ci sono regioni, quindi, che vantano una buona tradizione formativa da parte delle Università e degli IRRSAE, molti che hanno sostenuto, in tempi non sospetti, la creazione di centri risorse, di laboratori di ricerca didattica, di nodi di smistamento delle informazioni, di poli di documentazione. Inoltre gli istituti di ricerca, sia pubblici, sia privati, in molti territori hanno messo a disposizione delle scuole gli "oggetti indagati" sollecitando, in tal modo, la riflessione scientifica, allargando il dibattito pedagogico, favorendo l’incontro tra i percorsi teorici e le pratiche quotidiane. Ci sono però altre realtà dove tutto ciò è appena avvertito: dove i centri territoriali, per esempio, sono ancora un mondo sconosciuto; dove le Università non hanno mai investito sulla ricerca didattica e sulla formazione; dove gli IRRSAE sono vissuti a margine dei grandi dibattiti culturali e scientifici e poco attenti alle domande dei docenti. In tal modo le scuole non potevano percorrere altre strade se non quelle dei canali istituzionali. Ora la predisposizione di moduli formativi deve rispettare regole e modalità uguali per tutti all’interno, però, di realtà molto diverse tra loro. Possono, quindi, indicazioni omogenee rendere parimenti efficaci corsi organizzati per situazioni totalmente eterogenee? La discrezionalità territoriale nella gestione deve essere volta a compensare situazioni di disagio e ad enfatizzare i punti di forza. Resta comunque inteso che le differenze territoriali non si compensano certamente solo con una buona organizzazione dei moduli formativi per le funzioni-obiettivo: diverse e diffuse devono essere le azioni integrative, aggiuntive, di arricchimenti, utili a migliorare la qualità e la quantità delle offerte formative.
La nuova tipologie di soggetti che offrono formazione? Quest’argomento è regolato dall’art. 14 del CCNI/99. Qui si parla di soggetti qualificati e di soggetti che possono essere riconosciuti tali dal Ministero, di processi di accreditamento e di riconoscimento di iniziative di formazione. – Le Università, i consorzi universitari ed interuniversitari, gli IRRSAE e gli Istituti pubblici di ricerca (comma 2) sono i soggetti già qualificati. – Le associazioni professionali e disciplinari collegate a comunità scientifiche possono essere riconosciuti soggetti qualificati, considerando che esse sono ambienti che favoriscono la ricerca, la riflessione e l’elaborazione nel campo pedagogico, didattico e professionale in genere (comma 2). – Altri soggetti (Enti ed Agenzie) possono essere accreditati per la realizzazione di progetti di interesse generale (comma 3). – Anche le istituzioni scolastiche, sia scuole singole, sia scuole in rete e/o in consorzio, se hanno particolari competenze e possiedono le infrastrutture adeguate possono proporsi come soggetti qualificati (comma 5). – L’amministrazione centrale e periferica, inoltre, può riconosce iniziative di formazione organizzate da soggetti diversi da quelli previsti dal comma 2 e 3.
a) I soggetti già qualificati Università, consorzi universitari ed interuniversitari, IRRSAE ed Istituti pubblici di ricerca essendo di fatto soggetti qualificati sono anche di per sé accreditati, e questo lo dice il comma 3 dell’articolo in questione. Quindi, dovrebbero essere i primi cui far riferimento nella mappa provinciale delle risorse, i primi con i quali stabilire immediati rapporti tramite precise convenzioni ed affidamenti, in una situazione in cui il Ministero non ha ancora riconosciuto le associazioni disciplinari e professionali come qualificate, e non ha ancora avviato i processi di accreditamento di altri soggetti o di specifiche iniziative di formazione. Sono molti gli IRRSAE che hanno già definito delle proposte formative, ci sono alcune Università, specialmente dove esistono corsi di laurea di scienze della formazione primaria e secondaria, che hanno a disposizione progetti e risorse da spendere in questo campo. Si possono costruire dei tavoli di negoziazione tra responsabili di progetti, istituti di ricerca regionali, soggetti interessati allo scopo di illustrare meglio la tipologia delle richieste, il quadro delle regole e dei rapporti che l’amministrazione intende realizzare. Certamente l’offerta dovrà essere adeguata agli scopi. Solo se c’è già un chiaro piano provinciale dei moduli formativi, a livello di azioni, di obiettivi, di percorsi metodologici, a partire naturalmente dalle domande degli interessati, sarà possibile attuare scelte efficaci. Potrebbe succedere che le offerte di tali soggetti siano sufficienti a soddisfare il numero dei moduli attivati dal punto di vista quantitativo, ma non dal punto di vista della coerenza rispetto alle domande e agli scopi del piano. Quindi i responsabili a livello provinciale dovranno, per costruire l’elenco delle risorse effettive da utilizzare, procedere alla ricerca di altre opportunità.
b) I soggetti che possono essere riconosciuti qualificati Le associazioni professionali e disciplinari sono regolati dallo stesso comma 2 dei soggetti già qualificati, e ciò fa presupporre che ci sia, per il processo di riconoscimento, un percorso diverso rispetto agli altri soggetti regolati dal comma 3. Qui si prende atto che esse hanno un know how già spendibile sul piano della nuova idea di formazione, per esperienze di ricerca maturate, per i collegamenti con le comunità scientifiche, per i rapporti diretti con i docenti e con le scuole. Nel comma 2 ritroviamo anche alcuni criteri di massima ai quali l’amministrazione farà riferimento per il riconoscimento, essi sono: – il tipo di attività formativa svolta; – il livello di diffusione delle iniziative professionali; – l’effettiva consistenza della padronanza di approcci innovativi; – la qualità delle attività di ricerca e di comunicazione professionale compiute; – la disponibilità al monitoraggio, alla valutazione e all’ispezione. È opportuno, quindi, che a livello provinciale, le associazioni professionali e disciplinari non siano ignorate, anzi che siano tra le prime ad essere consultate (dopo quelle qualificate) partendo dal presupposto (derivante dalla lettura dell’art. 14 del contratto) che esse possano già dare delle garanzie di competenza e di affidabilità anche se non ancora formalmente riconosciute.
c) I soggetti che possono essere accreditati (Enti ed Agenzie) Il comma 3 elenca i criteri di riferimento per l’accreditamento di soggetti che intendono realizzare progetti di interesse generale. Dal primo criterio riportato in elenco si evince che per "soggetti" si intendono Enti ed Agenzie, cioè soggetti disciplinati da un regolare statuto. Ecco i criteri di riferimento per l’accreditamento: – la missione dell’ente o dell’agenzia tenendo conto delle finalità contenute nello statuto; – l’attività svolta per lo sviluppo professionale del personale della scuola; – l’esperienza accumulata nel campo della formazione; – le capacità logistiche e la stabilità economica e finanziaria; – l’attività di ricerca condotta e le iniziative di innovazione metodologica condotte nel settore specifico; – il livello di professionalizzazione raggiunto, anche con riferimento a specifiche certificazioni e accreditamenti già avuti e alla differenza funzionale di compiti e di competenze; – la padronanza di approcci innovativi, anche in relazione al monitoraggio e alla valutazione di impatto delle azioni di formazione; – il ricorso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; – la documentata conoscenza della natura e delle caratteristiche dei processi di sviluppo professionale del personale della scuola; – la specifica competenza di campo in relazione alle aree progettuali di lavoro; – la disponibilità a consentire il monitoraggio, l’ispezione e la valutazione delle singole azioni di formazione. Certo, oggi gli Enti ed le Agenzie esistenti operano anche se non sono stati accreditati a prescindere dal possesso dei requisiti richiesti. Nella scelta delle risorse sarà opportuno valutare con molta avvedutezza, seppur con discrezionalità, se le relative offerte corrispondono agli scopi dei moduli formativi, ed indagare sulla natura della tipologia di soggetti proponenti.
d) Istituzioni scolastiche (scuole singole, scuole in rete e/o in consorzio). Il comma 5 dice che "possono proporsi anche le istituzioni scolastiche, singole o in rete e/o in consorzio, sulla base di specifiche competenze e di adeguate infrastrutture". Visto che tale indicazione non è accompagnata da ulteriori precisazioni, resta la domanda se anch’esse saranno soggette alle procedure di accreditamento. Qui si parla solo di competenze e di infrastrutture. Ciò fa presupporre di fatto che non debbano essere sottoposte allo stesso processo degli Enti e Agenzie o delle Associazioni. Se è così chi decide circa l’adeguatezza delle competenze e delle infrastrutture di una scuola? Sulla base di quali criteri le istituzioni scolastiche possono considerarsi in grado di offrire formazione? È un fatto innovativo di grande rilievo riconoscere che le scuole sono contesti di ricerca, di elaborazioni di prodotti, di riflessioni sulle esperienze, di costruzione di didattiche innovative e che tutto ciò può ricadere non solo sui soggetti che lavorano in quel contesto, ma anche su altri docenti in una logica di collaborazione e scambio. Ma forse anche ciò dovrà rientrare entro alcuni parametri di riferimento, certamente diversi da quelli previsti per altri enti, agenzie, associazioni pubbliche o private, ma tali che diano riscontri trasparenti ed oggettivi. Basta, per esempio, l’aver predisposto un progetto in rete perché quella scuola sia riconosciuta portatrice di "competenze" utili per gli altri? Forse, in questa fase di cambiamento dell’idea di formazione, si dovranno impegnare molte risorse non solo nel sostenere le scuole "che hanno idee", e sono ancora una minoranza, ma soprattutto nell’aiutare le altre a modificare l’ottica formativa, a diventare veri e propri laboratori di ricerca come suggerisce l’articolo 3 della Direttiva 210 del 3/9/1999. Relativamente, quindi, alla formazione per le funzioni-obiettivo, le scuole e le reti di scuole dovranno essere sicuramente considerate delle risorse importanti, con l’accortezza, però, in attesa di ulteriori chiarificazioni in merito, che vengano accertare (dai responsabili provinciali di progetto?) l’effettiva consistenza delle competenze di fatto utilizzabili ai fini della realizzazione dei moduli formativi. Ciò premesso, sarebbe oltremodo interessante che le stesse scuole potessero avere non solo l’affidamento organizzativo, ma anche la responsabilità dei contenuti dei moduli formativi sapendo già che molte sono le conoscenze, le esperienze, le buone pratiche che esse possono mettere a disposizione.
e) Iniziative di formazione (organizzate da soggetti diversi) Il comma 7 prevede che l’amministrazione centrale e periferica possa riconosce "iniziative di formazione organizzate da soggetti diversi da quelli previsti dal comma 2 e 3 che rientrino negli obiettivi generali definiti dalla Direttiva annuale e siano coerenti con le priorità definite a livello provinciale". Quali potrebbero essere questi soggetti diversi? Varie categorie di professionisti: ispettori tecnici, dirigenti scolastici, insegnanti notoriamente competenti, esperti provenienti da altre amministrazioni pubbliche e private. Da questa riflessione emerge che l’articolo 14 del CCNI/99 si pone come fase di transizione da una consuetudine di corsi di aggiornamento gestiti in maniera abbastanza disordinata utilizzando soggetti diversi senza accertamento preventivo di competenze e senza categorie precise di riferimento, ad una fase di garanzia in cui si cerca di dare regole nella giungla delle opportunità ancora piuttosto caotiche, creando le condizioni perché ci sia un effettivo miglioramento della qualità delle offerte. Questo cambiamento non sarà immediato: le difficoltà oggettive, le diverse e a volte contrastanti domande degli interessati, le mediazioni possibili richiedono tempi piuttosto lunghi. Non è pensabile perciò che per le funzioni-obiettivo si possa usufruire già dei risultati di questo processo. Ciò non toglie, però, che le innovazioni non vadano colte ed applicate per quanto possibili. In altri termini, sarebbe opportuno, nella scelta delle proposte partire dalle prime evidenziate, che dovrebbero tratteggiare le condizioni di svolta, per arrivare via via verso le ultime, che ancora rappresentano la conservazione della normale tradizione corsuale.
5. I moduli formativi
L’idea di modulo Sono già state poste in evidenza alcune regole generali, già rinvenibili nelle indicazioni contrattuali e specificate dal documento dell’Osservatorio, cui attenersi nell’organizzazione dei corsi. Entriamo meglio nel dettaglio. "Dal punto di vista organizzativo si suggerisce una scansione delle attività formative in 4-5 moduli (da tenersi nel periodo compreso tra febbraio e maggio 2000 per gruppi non superiori a 25 docenti) intervallati da periodi di autoformazione e di lavoro in situazione". È quanto viene ribadito al punto 6 del documento dell’Osservatorio, dalla cui lettura complessiva si percepisce una accezione plurima del termine modulo: – è modulo l’insieme delle attività a carattere nazionale delle 10 ore; – è modulo l’insieme delle attività a carattere locale delle 20 ore; – è modulo l’insieme delle attività a carattere nazione, più quelle a carattere locale (30 ore); – sono moduli le sotto unità che scandiscono tutte le attività formative, locali + nazionali, (4-5 moduli). Il suggerimento dell’alternanza tra attività formative e "periodo di autoformazione e lavoro in situazione" è molto interessante, ma pone alcune domande. Cosa intende il comma 1 dell’articolo 17 del CCNI/99 per corsi di formazione di almeno 30 ore? Solo attività d’aula o anche di autoformazione, di lavoro in situazione, di apprendimento indipendente…? A parte il modulo di 10 ore, di cui a livello territoriale non si è responsabile nei contenuti, come può essere inteso quello di 20 ore? Dalle indicazioni dell’Osservatorio si potrebbe anche capire che il periodo di autoformazione e di lavoro in situazione sia inteso come qualcosa di aggiuntivo rispetto all’attività d’aula vera e propria. Lasciando a margine eventuali riflessioni sulla correttezza concettuale di questa ipotetica interpretazione, sarà opportuno in fase di programmazione individuare alcune categorie di riferimento per lo svolgimento delle attività di autoformazione negli "intervalli", valutando anche che l’arco di tempo a disposizione (febbraio-maggio) non lascia grandi possibilità di spazi diversi, per l’approfondimento e la riflessione. Se invece le attività autoformative non si intendono come aggiuntive, ma parte integranti del modulo, il problema che si pone è quello di definire uno standard di riferimento per il numero delle ore da impegnare nelle attività d’aula e nelle attività autonome, anche al fine di poter meglio comparare le diverse proposte dei soggetti che offrono formazione e ad evitare che le azioni siano troppo curvate su l’uno o l’altro dei due momenti formativi. Categorico sembra invece essere il riferimento al numero dei docenti: non più di 25 per modulo. Non essendoci però una indicazione del minimo consentito si potrebbe verificare, per scelte territoriali autonome, la costituzione di moduli per poche unità di docenti che puntino prevalentemente su azioni autoformative con rari incontri a livello collegiale per attività d’aula. Una simile impostazione non è limitata da altri parametri. Gli obiettivi previsti, infatti, e le metodologie suggerite non impediscono una simile interpretazione. Potrebbe essere invece attutita dalla nota dell’11/1/2000 citata in cui il direttore generale, elencando alcune operazioni per poter redigere il piano formativo, suggerisce che ogni modulo deve essere formato da circa 25 docenti, e in tal modo il concetto di media sostituisce quello di limite massimo. Potrebbe essere opportuno attenersi all’indicazione di massima di 25 docenti per ogni modulo per garantire un equilibrio sul piano istituzionale, senza però escludere differenti modalità organizzative, funzionali alle diverse esigenze.
L’apprendimento on line Il modulo a carattere nazionale "si avvale del supporto di materiale didattico organizzato in un CD Rom della durata di 10 ore, di cui 5 ore relative ad alcuni contenuti fondamentali dell’autonomia e 5 ore relative alle specifiche funzioni-obiettivo. Il materiale prodotto dovrà permettere una fruizione personalizzata e sarà disponibile anche in internet con un sevizio di help line per facilitare i docenti nell’uso". La fruizione del CD Rom e del sistema on line comporterà di certo alcuni problemi da affrontare. – Tutti i docenti sono in grado di governare un apprendimento on line? – Tutti i docenti possono disporre di un computer e di collegamenti in rete senza limitazioni. – Sarà possibile che i coordinatori dei moduli formativi assicurino il raccordo tra le diverse esperienze di ogni insegnante (lezione d’aula, autoformazione, lavoro in situazione, apprendimento on line)? Inoltre si dice successivamente che "i singoli docenti potranno optare, in aggiunta alla formazione specificamente riferita alla funzione ricoperta, anche per la frequenza di ulteriori moduli formativi nel percorso che si effettua a distanza". Tale affermazione sembra riferirsi solo per la parte nazionale. Ma queste ore dovranno essere certificate? Rappresenteranno un credito in più spendibile? Le risposte possono essere diverse, ma non sono tutte specificate nel documento dell’osservatorio. Si tratta di fare delle scelte a livello provinciale coerenti con i principi generali espressi dai contratti e dalle direttive.
Gli obiettivi L’articolo 28 del CCNL/99 pone in evidenza che lo scopo della costituzione di specifiche funzioni-obiettivo è quello di valorizzare il patrimonio professionale dei docenti, che rappresenta la risorsa principale per la realizzazione delle finalità istituzionali della scuola in regime di autonomia. Le funzioni obiettivo, quindi, sono volte a rafforzare le professionalità necessarie per gestire la complessità della scuola autonoma. Non si tratta, perciò, di figure di sistema con un percorso di carriera differente e con una riconversione totale delle competenze professionali. Molti si aspettavano, infatti, che il nuovo contratto ratificasse nuove figure con profili definiti e permanenti, e con differenziazioni sul piano retributivo. Ma le logiche sindacali hanno optato invece per profili funzionali e limitati nel tempo, collegati alla specificità dell’incarico e con compensi ad hoc. Non è stata una semplificazione o una "diminutio" rispetto alle attese, semplicemente il riconoscimento di nuove esigenze collegate allo sviluppo dell’autonomia. Non è quindi un compito minimale quello di formare figure in tal senso, si tratta di puntare su competenze nuove e indispensabili che i docenti devono avere. L’insegnamento, infatti, fino ad oggi è stato visto soprattutto come attività di tipo individuale; i docenti, tradizionalmente, non si sono mai sentiti responsabili della gestione di una scuola; la complessità della situazione scolastica attuale richiede, invece, a tutti responsabilità dirette e non solo al capo d’istituto, perché la ricerca della qualità è un problema di tutti. L’insegnante quindi che prima aveva costruito la sua specificità professionale dall’incrocio di competenze prevalentemente disciplinari, pedagogiche e didattiche oggi deve aggiungere a queste anche quelle più specificatamente organizzative da spendere non solo nelle attività con gli studenti, ma anche in diversi ambiti di azioni volte a rendere funzionali ed efficaci le scelte delle istituzioni scolastiche. È importante quindi che gli obiettivi dei corsi formativi vadano fondati su questi presupposti. Si tratta di accentuare, perciò, le competenze di tipo organizzativo, progettuale, relazionale, di coordinamento e organizzazione di gruppi di lavoro, di ricerca-azione. Alle competenze relative alla mediazione didattica, che già tutti gli insegnanti posseggono, si dovranno aggiungere quelle utili al sostegno della progettazione del POF, del lavoro dei docenti, degli studenti e al collegamento con il contesto extrascolastico.
La metodologia "Poiché appare fondamentale il collegamento con le competenze che si vogliono sviluppare e gli obiettivi di cambiamento che si vogliono raggiungere, occorrerà privilegiare tutte le metodologie che si basano sull’interattività e sulla ricerca-azione" (doc. dell’Osservatorio). Ciò significa che i corsi dovranno, innanzitutto, raccogliere e far emergere le esperienze delle scuole ed aiutare gli insegnanti interessati a prendere coscienza delle loro difficoltà, ma anche dei punti di forza della loro professionalità, perché è dagli aspetti positivi che dovranno scaturire nuove idee e nuove pratiche. Non si può prescindere, quindi, dalla mappa dei bisogni dei docenti e dal riconoscimento delle esigenze delle singole istituzioni. Utile potrebbe essere capire come le diverse realtà scolastiche affrontano e gestiscono problemi analoghi, e quindi il confronto tra le diverse pratiche, lo studio dei casi e l’approfondimento teorico. Lo stesso documento dell’Osservatorio (punto 5) raccomanda ai coordinatori dei moduli di porre l’attenzione: – "alla riflessione sulle esperienze effettuate; – al confronto tra le diverse pratiche – alla ricaduta sulle didattiche e sui modelli organizzativi: – alla costruzione di nuovi percorsi operativi. Grande rilievo deve assumere la figura di coordinatore di modulo che dovrebbe essere in grado di aiutare i gruppi di docenti in formazione a costruire percorsi di autoapprendimento, a facilitare i rapporti, ad aiutare a migliorare le relazioni, dovrebbe fornire le informazioni essenziali, seguire i processi, riorientare le azioni. Nella scelta, quindi, delle proposte dei vari soggetti si dovrà valutare anche il ruolo che nell’eventuale pacchetto offerto verrà ad assumere questa figura (coordinatore, conduttore, coach, tutor, mentor?).
Il piano dovrebbe promuovere, in sintesi, lo sviluppo di un modello formativo che si basi su: l’autogestione dei bisogni di formazione; il lavoro cooperativo e la riflessione collegiale sulle pratiche professionali; il supporto dei coordinatori; il riutilizzo dei materiali già esistenti; il lavoro in rete i supporti tecnologici; la personalizzazione dei percorsi; il lavoro in situazione. 6. C ontrollo e monitoraggio
Il documento di orientamento dell’Osservatorio prevede un monitoraggio di tipo qualitativo distinto in due livelli: 1. un primo livello riguarda la qualità dell’intervento formativo rispetto alle esigenze e alle attese dei docenti; 2. un secondo l’arricchimento professionale e la ricaduta sulle attività scolastiche. Non sono queste indicazioni di poco conto considerate le questioni aperte già poste in evidenza nei paragrafi precedenti. Il primo livello è quello che si presenta di più facile soluzione, ma presuppone che siano state individuate le esigenze reali dei docenti, che esse si siano prestate ad operazioni di ordinamento e categorizzazione e che le azioni formative siano state conseguenti alle diverse tipologie di bisogni. Questo tipo di accertamento può essere effettuato con vari strumenti e può determinare risultati dissimili sul piano della significatività. Il riscontro a caldo, per esempio, dell’indice di gradimento dei partecipanti, senza la necessaria riflessione mediata dal tempo e dalla ragione, ci ha permesso fino ad oggi di valutare il senso di gradevolezza o di sgradevolezza, ma non certamente quanto un determinato corso abbia inciso sulla qualità professionale di ogni singolo insegnante. Il grado di soddisfazione, infatti, rilevato nella usuale tradizione corsuale alla fine di ogni iter formativo, forse non è più sufficiente a cogliere veramente la qualità e la pertinenza dell’intervento. Un corso, inoltre, può essere oggettivamente rispondente a standard qualitativi, ma inefficace se scollegato dalle esigenze ed attese dei docenti. Ma anche il problema delle attese non si presenta, come è stato posto in evidenza nei paragrafi precedenti, facile da trattare, a meno che non ci si accontenti delle semplici evidenze percepite da ogni soggetto senza ulteriori indagini e riflessioni. Il secondo livello presenta tratti di maggiore complessità riguardando due ambiti differenti e non necessariamente collegati. Il rapporto tra arricchimento professionale e ricaduta sulle attività scolastiche, pur essendo abbastanza ovvio sul piano del ragionamento comune, non lo è sul piano tecnico. Il documento dell’osservatorio indica per il controllo di questi aspetti due momenti e due ambiti di azioni diversi: il primo, internamente alla scuola, il secondo a cura di "una istituzione specializzata nel settore del sistema scolastico, su un campione di iniziative". Il primo livello potrebbe essere costruito su momenti di autoanalisi essendo finalizzato a capire in profondità cosa ha determinato il corso di formazione sia nel soggetto incaricato di svolgere le funzioni obiettivo sia nella ricaduta sul piano organizzativo, sul rapporto tra docenti e con studenti, sulle relazioni con l’extrascuola, con il mondo del lavoro, delle imprese, delle agenzie culturali. Il secondo potrebbe consistere in un’indagine approfondita su un campione molto limitato per capire meglio i processi e per ricalibrare le azioni successive da promuovere a sostegno dei docenti. Secondo le indicazioni dell’Osservatorio i livelli di "controllo" sono quindi di natura qualitativa e riguardano la scuola e l’ambito nazionale. Si pone il problema dell’opportunità di indagini anche di tipo quantitativo ma su scala più ampia che permetta di avere una gamma di informazioni da confrontare e far interagire tra loro. Se, infatti, uno degli standard organizzativi per le iniziative di formazione del personale della scuola è l’attivazione permanente di monitoraggi, sarà opportuno che si prendano in considerazione altri livelli: quello del singolo corso, quello territoriale o provinciale, il livello regionale, ma anche nazionale. Un’analisi solo su un campione molto ristretto, seppur approfondita, potrebbe essere insufficiente a disegnare il quadro generale e le riflessioni all’interno di ogni singolo collegio, essenziali per il governo efficace dell’autonomia, diventano difficilmente utilizzabili sul piano nazionale se non accompagnate da indagini su scale più ampie, utili anche a costruire sinergie e rapporti di rete. 7. C ertificazioni
Il documento dell’Osservatorio (punto 7) fa riferimento a certificazioni e crediti e afferma molto lapidariamente: " vanno attestate: – la partecipazione (n. delle ore) – le attività effettuate nel corso – le competenze che il corso ha consentito di raggiungere. La partecipazione ai corsi costituisce un impegno che deriva dall’accettazione dell’incarico ricevuto e costituirà, al termine, un credito formativo". L’attestazione del numero delle ore di presenza del corsista e delle attività svolte non rappresenta un fatto nuovo e quindi non è motivo di indagine né, tanto meno, di preoccupazioni. Ma l’attestazione di competenze è certamente il quid novi della situazione. Certificare una competenza comporta che sia chiaro il concetto di competenza, che sia declinabile in comportamenti visibili, che siano definite le prove necessarie e gli standard, che siano previsti momenti di verifica. Non a caso la certificazione di competenze nasce nel modo delle professioni dove è più facile ragionare in termini di "comportamenti" visibili (sa fare o non sa fare). Inoltre la competenza acquisita dovrebbe essere decontestualizzata e spendibile non solo nella propria scuola ma anche in altri ambienti di lavoro. Quali competenze potrebbero essere certificate all’interno di un corso di 30 ore? Le funzioni obiettivo sono diverse, come sono diverse le esigenze degli insegnanti coinvolti e le richieste delle istituzioni scolastiche. Ogni insegnante dovrebbe avere realizzato un suo piano di fattibilità che comporti azioni, conoscenze, atteggiamenti, capacità, non tutte rubricabili in una stessa agenda. Se il corso deve veramente rispettare ciò che già esiste come patrimonio di ogni docente, secondo una logica di condivisione e ricerca azione, che cosa si potrebbe certificare alla fine del breve percorso? Competenze individuali (soluzione che sembrerebbe rispettare gli obiettivi del documento dell’Osservatorio) o competenze comunque standardizzate e uguali per tutti? Con quali strumenti? Si potrebbe ipotizzare, per esempio, di chiedere ai corsisti di stilare una convenzione, di costruire un questionario, di individuare una procedura per una progettazione integrata con il mondo del lavoro, dell’associazionismo. Ma come fare a certificare la capacità di valorizzare proficuamente le idee e il lavoro degli altri, di saper scegliere ciò che serve per risolvere un problema, di trasformare i limiti in risorse, di saper costruire rapporti interpersonali efficaci. Certificare le competenze trasversali forse costituisce un problema abbastanza difficile da risolvere in questo contesto corsuale, né si può, però, omettere tale questione visto che, da più parti, è già emersa la necessità di puntare prioritariamente su questi aspetti della professionalità. E chi ha la funzione di "certificatore"? Quest’ultima domanda richiede una riflessione a parte sulle responsabilità variamente diffuse. Abbiamo un centro organizzativo e di coordinamento (con vari livelli di coinvolgimento fino alla gestione diretta) rappresentato dall’ufficio provinciale (responsabile di progetto). Abbiamo i soggetti cui viene affidata la gestione dei corsi, presumibilmente con un responsabile a livello organizzativo (ma non solo). Ci sono i soggetti che offrono formazione (agenzie, associazioni, università) con la responsabilità di contenuti, metodi, strategie operative. Ogni modulo formativo dovrebbe aver un suo coordinatore (mentor, tutor, coach) con il compito di facilitare i processi. Chi tra questi soggetti deve certificare le competenze? Secondo alcuni parametri europei, il "certificatore" dovrebbe essere un personaggio diverso sia dal committente sia dal gestore. Sarà opportuno che per questi aspetti provengano ulteriori chiarificazioni da parte del Ministero in quanto non ci sembra che questa materia possa essere delegata esclusivamente alle scelte autonome delle singole realtà periferiche. Allo stato attuale, una proposta sensata potrebbe essere quella di puntare su formule approssimate che diano il senso dei processi formativi realizzati, delle acquisizioni di alcune abilità, o anche della capacità di produzione di alcuni strumenti. |
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