Sono già alcuni anni, che, giustamente, ricordiamo
il 27 gennaio, data in cui l’Armata Sovietica varcò i cancelli di quell’enclave
del male sistematizzato che si era creato nel centro Europa. A detta di troppi senza che alcuno se ne accorgesse. E’ con timore e reverenza che in questo momento
storico affronto questa conversazione con voi. Non c’è nulla di più difficile che parlare di cose
tanto percorse e sviscerate da sembrare quasi ripetitive. Il 27 gennaio è diventato da alcuni anni un rito:
sono molti anni, che ricordiamo questa data, anche a seguito di una legge dello
Stato seguita poi da una Circolare applicativa del Ministro della Pubblica
Istruzione. La ritualità è una delle cifre identitarie della
cultura ebraica. In questa ritualità però potrebbe nascondersi un
pericolo per questa stessa cultura e Essa crea
anche una sorta di santità e indicibilità. Per santità intendo qui
semplicemente quella forma di cristallizzazione di un evento che lo trasforma
in qualcosa di intoccabile. L’indicibilità invece pervade la cultura ebraica
tutta. La visita ad una delle Sinagoghe di Italia
spiegherebbe benissimo ciò che voglio dire. Ma anche Auschwitz è indicibile. Contrariamente ai fiumi di parole ed immagini che, sempre in determinati giorni, si sviluppano ogni anno. Sarebbe ora di uscire, senza tradirlo e, soprattutto
senza rinnegarlo, da questo percorso. Riprendendo proprio quella che è un’altra cifra
identitaria dell’ebreo: l’errare, il muoversi. Come Abramo, che esce dalla sua terra e va, e
sul suo vagare fonda la sua nuova identità e l’identità del suo popolo. Quale significato ha avuto per il popolo
ebreo entrare nella terra promessa, e quale dopo 2000 anni ritornarvi, dopo
Auschwitz? L’ebreo è in movimento non solo nello spazio
geografico ma anche in quello dell’interpretazione del reale. E’ qui che la cultura ebraica si differenzia
profondamente da quella europea circoscritta nelle categorie cartesio-kantiane.
Molti di voi avranno visto Train de vie, o Allora, il discorso deve partire da Auschwitz per
andare nel male nella storia. Ma anche questo può essere di corto respiro. In uno dei titoli della nostra conversazione ho
citato Hanna Arendt. Bene. In Ebraismo
e modernità la filosofa chiarisce proprio questo processo: il rapido
passaggio di un cittadino a pieno titolo (quale era un ebreo nel Attenzione sto parlando di cittadino. Quel cittadino nato con Quindi questo 27 gennaio che stiamo commemorando
quasi in punta di piedi, senza clamore nella scuola, dovrebbe traghettarci a
guardare a tutti quei processi di esclusione, espulsione, ricacciamento,
nascondimento di tanti cittadini
da parte di altri cittadini. Si è ripetuto anche dopo Sono tanti e non voglio citarne nessuno per non
creare facili e discutibili contrapposizioni. Ma i diritti di cittadinanza non sono più una
certezza per nessuno. Tutto questo non può a mio avviso essere spiegato
come un male ontologico e ineluttabile ma riportato alle sue determinanti
storiche. Vi lascio con un’espressione ebraica che è Shemà: Ascolta. A me sembra molto più forte della parola ricorda
tanto ripetuta in questi giorni. Il ricordo può essere occasionale l’ascolto
deve essere il nuovo modus vivendi della nostra civiltà. Nel volto dell’Altro ha inizio l’etica, dice
il filosofo Lèvinas. Il volto è, essenzialmente e fondamentalmente espressione,
invito, appello, comando, supplica, insegnamento e quindi linguaggio
dell’Umano. Vi lascio a questo punto alla imbarazzante
visione del film Memoria dandovi appuntamento a
marzo quando terremo la 2° giornata del dialogo interculturale e
interreligioso proprio sull’Ebraismo
dopo la visita alla Sinagoga di Roma. Prof.
ssa Elvira Cavallo |