Anno II Numero 3° |
Aprile 2006 |
LICEO SCIENTIFICO F.ENRIQUES |
Il fuoco di Olimpia e la pace
Di Sergio Ronci
Si è riacceso in questi giorni come avviene, ogni quattro anni, il fuoco portato da centinaia di tedofori da Olimpia (a Torino). Questa fiaccola è sostenuta dal desiderio più vivo dell’umanità di competizioni leali e in un clima di pace e serenità. Probabilmente l’olimpiade attuale come quelle passate non rispecchiano la realtà poiché la pace tra i popoli sembra essere confinata tra utopia e speranza. Le guerre non sono finite o meglio non si sono mai fermate e in molti stati le armi prevalgono sempre sulla ragione. Forse dovremo far tutti meno ipocritamente un passo indietro e tener fede a ciò che sanciva l’antica Grecia: sospensione delle guerre, ricompensa con corona di alloro agli atleti vincitori. Probabilmente il mondo moderno ha perso lo spirito antico dimenticando quei valori che come la democrazia (per fare un esempio) sono ancora alla base della nostra vita. De Coubertin il fondatore delle olimpiadi moderne diceva che l’importante è partecipare alle gare non vincerle e noi vogliamo ancora crederlo e sperarlo. Solo nella concordia generale e nel riconoscimento dei valori universali condivisi, l’umanità potrà progredire. |
“C’era una volta… la campagna elettorale”
di Marco Alessandri
Quando la politica si riduce a spettacolo o, meglio, ad una farsa meschina, la Commedia dell’Arte fornisce, a chi ne senta la necessità, un ricco e fiorito vocabolario che ben s’adatta ai fenomeni da baraccone che popolano questa lunghissima ed estenuante campagna elettorale. Acrobati e giocolieri, giullari e mimi, pagliacci e imbonitori si contendono, senza esclusione di colpi, le tavole polverose del palcoscenico mediatico. Ed ora che gli unti dal Signore si fregiano di allori napoleonici, nessun numero manca ormai alla pantomima nazionale. Passati i quaranta, ahimé, si corre il rischio di cadere in una retorica autoconsolatoria. Ma grande è la tentazione di rifugiarsi nel conforto della memoria, tra le immagini in bianco e nero che affollano i nostri ricordi adolescenziali. Ci ritroviamo così a raccontare ai nostri figli (e ai nostri studenti) di anni in cui la televisione era soltanto la RAI ed i canali erano due, come due erano i partiti, Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano, che si spartivano, da soli, il 70% dell’elettorato italiano. Ci sorprendiamo a narrare agli adolescenti del 2006 dei giorni in cui un certo Ugo Zatterin moderava “Tribuna Politica”, sorta di conferenza stampa pre-elettorale, nel corso della quale il segretario di partito rispondeva alle domande coerenti e incisive di commentatori politici di varie testate giornalistiche. Buona parte delle famiglie italiane, così come la mia, seguiva con passione questa serie di trasmissioni perché, a prescindere dalle convinzioni politiche, si provava vivo interesse per le tesi e le argomentazioni emergenti dal confronto, comunque civile e pacato. La passione per le idee e il vissuto esperienziale e intellettuale di ogni singolo leader, sottoposto ad un fuoco incrociato di domande e osservazioni, traspariva inconfondibilmente, che si trattasse di Zaccagnini (DC) o di Berlinguer (PCI), di De Martino (PSI) o di Almirante (MSI), di La Malfa (PRI) o di Pannella (PR). Insomma, al di là delle tattiche e degli interessi di parte, inevitabili nell’agone politico, non venivano meno vincoli etici e comportamentali quali il rispetto e l’educazione uniti alla competenza tecnica e alla padronanza della materia, qualsiasi fossero i temi affrontati. Sembra davvero siano passati tre secoli e non solo trent’anni. Per chi non ha memoria di questi eventi un episodio valga per tutti. Ricordo che nel 1988 alla veglia funebre per Giorgio Almirante, presenziò, visibilmente commosso, Giancarlo Pajetta, capo storico dell’antifascismo e della Resistenza, allora presidente del PCI. Quella scelta per me e i miei coetanei fu sconcertante e la disapprovammo con profonda indignazione. Ci chiedevamo come fosse possibile che un perseguitato dal Fascismo, condannato durante il Ventennio al carcere e al confino, rendesse omaggio ad un ex ufficiale della R.S.I., per giunta fondatore del Movimento Sociale Italiano e fascista senza pentimenti. Ma la lezione di civiltà che ci diede allora Pajetta la comprendemmo due anni dopo, in occasione dei suoi funerali, quando alle esequie ed al corteo che ne seguì fu presente la delegazione ufficiale dell’MSI. Il rispetto per il “nemico”, “l’onore delle armi”, sono principi troppo ostici per la rozza insipienza, ideologica e morale, dei tempi bui che viviamo, dove l’effige di Che Guevara e quella di Mussolini squallidamente si fronteggiano nella zotica arena del tifo da stadio. Ecco la vera icona di quest’epoca vergognosa e ipocrita, in cui nessuno, in ossequio al political-correct, osa dire “ladro” al ladro, “corrotto” al corrotto e “traditore” al voltagabbana di turno; ove tutto diviene stucchevole finzione, messa in scena da quattro soldi. In un paese in cui precipita la produzione, ma ricrescono miracolosamente i capelli; dove si scavano solchi abissali tra i ceti sociali ma spariscono magicamente le rughe, tutto diviene tremendamente telegenico e, di conseguenza, tragicamente falso. Recita un antico proverbio slovacco: “E quando avremo finalmente poggiato le mani sul fondo, sentiremo battere da sotto!” Il tutto per dire che il fondo non si tocca mai. Eppure, ora che sul fondo abbiamo accostato anche l’orecchio, quel che si avverte è un’assordante e angoscioso silenzio del pensiero e della coscienza. |
Incendio annunciato La pubblicazione di alcune vignette considerate blasfeme provoca l’ira del mondo musulmano
Tutto è cominciato il 30 settembre 2005, quando il Jyllands-Posten, un piccolo quotidiano danese pubblicò dodici vignette satiriche dal titolo “I volti di Maometto”, contenenti un’esplicita parodia del Corano e riferimenti ironici a quella che viene comunemente definita jihad. Da allora, almeno da quanto documentato dalla maggior parte dei mass media, sembra che lo scopo prioritario di ogni musulmano sia quello di uccidere i vignettisti satanici e vendicarsi contro l’Occidente blasfemo. E dunque, ecco il mondo arabo devastato dagli scontri di piazza, dagli attentati alle ambasciate europee e americane, dagli omicidi, dai proclami minacciosi degli estremisti. Pare proprio che lo scontro di civiltà tanto paventato dall’una e dall’altra parte, sia ormai in procinto di esplodere con conseguenze disastrose. Tuttavia, soffermandosi ad analizzare la situazione con una minimo di raziocinio, è subito chiaro che non si tratta affatto di una mera contrapposizione tra libertà di stampa e sentimento religioso. Certo, migliaia di persone, di integralisti per l’appunto, hanno creato quella che in molte occasioni e con toni quasi apocalittici è stata definita “la vendetta di Allah”; ma quello che ai più sembra sfuggire è che alcune illustrazioni satiriche di uno sconosciuto giornale dell’estrema destra danese, riprese poi da altre testate europee, non possono di per sé aver causato reazioni cotanto spropositate, nonostante la strumentalizzazione delle autorità politiche e religiose (che fra l’altro spesso coincidono) e l’importanza della figura di Maometto in un mondo, quello arabo-musulmano in cui si fatica a distinguere il sacro dal profano e il rapporto dei fedeli con il Profeta è del tutto particolare (quasi “amoroso”, come l’ha definito il politologo marocchino Mohamed Tozy). Infatti, dopo aver chiarito che gli estremisti che hanno causato il putiferio non sono che una ristrettissima minoranza da condannare, se paragonati ai 930 milioni di islamici che vivono in Asia e ai 320 milioni che risiedono in Africa, che perlopiù si sono limitati a richiedere scuse ufficiali, resta da capire il motivo per cui in questo particolare momento, i leader radicali si siano dati tanto da fare per fomentare un odio che troppo spesso esplode laddove la miseria e la devastazione non lasciano spazio ad altro. Probabilmente le motivazioni sono radicate nell’attuale contesto storico, nel quale l’equilibrio del Medio Oriente è diventato sempre più precario dopo gli ultimi avvenimenti internazionali. In particolare il 25 gennaio la formazione politico-militare Hamas, storicamente in stretti rapporti con i Fratelli Musulmani, è uscita vincitrice dalle elezioni palestinesi e il 30, lo stesso giorno in cui veniva chiesto all’AIEA il deferimento dell’Iran all’ONU per contrastare il programma di arricchimento dell’uranio, la segretaria di Stato americana, Condoleeza Rice, proponeva all’UE di sospendere gli aiuti all’Anp, al fine di mettere pressione ad Hamas stessa. Ecco quindi le tante micce che hanno dato vita all’ “incendio” di cui molto si è discusso e che sembrava riconducibile alle pur sempre deprecabili e inopportune vignette provocatorie. E’ quasi l’avvertimento mandatoci da chi governa un mondo, di cui noi occidentali purtroppo conosciamo solo ciò che ci viene mostrato e con il quale si sono instaurati dei pregiudizi che affondano le proprie radici nella storia. Anche se a questo punto la strada verso una pacifica convivenza interculturale e interreligiosa appare quasi irrimediabilmente compromessa, è di fondamentale importanza che continui ad essere nutrita la speranza in un mondo migliore in cui la libertà di parola, di stampa, di religione venga considerata una condizione imprescindibile al pari del rispetto della persona umana,della sua dignità e della sua sensibilità e che in questo senso si moltiplichino gli sforzi della comunità internazionale. |
non si tratta affatto di una mera contrapposizione tra libertà di stampa e sentimento religioso. Certo, migliaia di persone, di integralisti per l’appunto, hanno creato quella che in molte occasioni e con toni quasi apocalittici è stata definita “la vendetta di Allah”; ma quello che ai più sembra sfuggire è che alcune illustrazioni satiriche di uno sconosciuto giornale dell’estrema destra danese, riprese poi da altre testate europee, non possono di per sé aver causato reazioni cotanto spropositate, nonostante la strumentalizzazione delle autorità politiche e religiose (che fra l’altro spesso coincidono) e l’importanza della figura di Maometto in un mondo, quello arabo-musulmano in cui si fatica a distinguere il sacro dal profano e il rapporto dei fedeli con il Profeta è del tutto particolare (quasi “amoroso”, come l’ha definito il politologo marocchino Mohamed Tozy).Infatti, dopo aver chiarito che gli estremisti che hanno causato il putiferio non sono che una ristrettissima minoranza da condannare, se paragonati ai 930 milioni di islamici che vivono in Asia e ai 320 milioni che risiedono in Africa, che perlopiù si sono limitati a richiedere scuse ufficiali, resta da capire il motivo per cui in questo particolare momento, i leader radicali si siano dati tanto da fare per fomentare un odio che troppo spesso esplode laddove la miseria... Continua a pag. 2 |