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Recensione: Non pensarci

 

 

Un film di Gianni Zanasi  Con Valerio Mastandrea, Anita Caprioli, Giuseppe Battiston, Caterina Murino, Paolo Briguglia, Dino Abbrescia, Teco Celio, Gisella Burinato. Genere: Commedia  Produzione: Italia, 2007  Durata: 109 minuti circa.

 

 

 

Non pensarci: solo a sentire il titolo si ha un senso di leggerezza. Con queste due parole Gianni Gianasi, regista, ci fa riflettere, giocando, sull’ esistenza  ma soprattutto sul rapporto tra le persone, in modo particolare sulle relazioni affettive in una famiglia.

Un film tenero e sincero che ci coinvolge e ci rende partecipi delle vicende dei personaggi in modo così autentico da farcele in un certo modo condividere.

 Nel ruolo di protagonista troviamo un eccezionale Valerio Mastandrea, autore di un’ interpretazione spontanea e naturale che ci dà l’ idea di un personaggio disegnato apposta per lui: Stefano Nardini, chitarrista di un band punk, ci appare alla prima impressione sciatto, un po’ “sfigato” e a tratti malinconico; nonostante sia appena stato scartato a tutte le audizioni e abbia trovato la fidanzata a letto con un membro di una band concorrente, sembra accettare il tutto  passivamente, non in modo fatalistico ma quasi completamente distaccato. Velato di una sorta di saggezza mistica tipica di un alternativo di mezza età non omologato alle regole del sistema, Stefano ad un certo punto della sua vita sente un bisogno apparentemente inconscio di trovare conforto nella  propria famiglia.

Il film ci parla di una vita che non è così semplice come sembra, e che non ha bisogno di una casa grande, di una bella macchina o di un lavoro prestigioso per valere la pena di essere vissuta.

Perché - ci dimostra il regista attraverso il corso degli eventi - queste pseudo-soddisfazioni incarnate dalla finta realizzazione di se stessi, non fanno stare necessariamente bene o, nel caso lo facessero, poggiano su fondamenta troppo instabili per garantirne la solidità e la durata nel tempo: basta un litigio con la propria moglie o un periodo negativo per gli affari che tutto va inevitabilmente a rotoli, che il nostro castello di carte costruito secondo i canoni della felicità, prestabiliti da altri, crolli rovinosamente.

Essere felici – secondo il protagonista – è un’ altra cosa,completamente diversa: è avere qualcuno nei momenti difficili,  sentirsi veramente importanti ed amati dalle persone a cui vogliamo bene, a cui teniamo di più, ma che spesso sono proprio quelle che trattiamo male e trascuriamo quasi inconsapevolmente, forse a causa di uno strano meccanismo contorto e inspiegabile della mente umana.

Essere felici è fare quello che desideriamo e non quello che dobbiamo fare: come la sorella  Michela(Anita Caprioli), e lo stesso Stefano, che “scelgono di scegliere la vita”. C’ è infatti il rischio di finire nello stato di negazione di sé in cui si trova Alberto(Giuseppe Battiston), il fratello maggiore, schiacciato dal lavoro a frustrato da una vita ordinaria che forse, col senno di poi, non avrebbe mai intrapreso; oppresso dal rimpianto di non aver avuto la forza e forse il coraggio di fare ciò che voleva veramente, è salvato alla fine proprio da chi giudicava un perdente, uno che non aveva saputo capire nulla di come andavano le cose , quando invece era proprio il contrario.

Vivere è già complicato di per sé, perché alienarci facendo in continuazione ciò che non vogliamo? La verità è che probabilmente non sappiamo o non vogliamo raccontare i nostri problemi nemmeno a noi stessi ; ci manca il carattere per affrontarli di petto. Arranchiamo quindi lentamente per una via difficile e tortuosa , che molte volte non conduce dove speravamo,  cercando un modo per assaporare almeno per un momento l’essenza passeggera di questa gioia effimera che sembra essere così a portata di mano ma in fin dei conti non lo è.

In conclusione, ciò che il film ci vuole comunicare attraverso la spensieratezza di Stefano Nardini, è che la felicità è sì nelle cose grandi, come l’amore, le soddisfazioni sul lavoro, le rivincite, la riscoperta di sé stessi, le grandi emozioni che si provano; è nella distruzione della routine e nella voglia di sorprenderci ogni giorno, di ritrovarci sempre un po’ diversi (per non andare a finire come il povero Matrix!); ma soprattutto la possiamo trovare racchiusa in un attimo che ci toglie il fiato, in uno sguardo, in una sensazione nuova, in una canzone; la possiamo trovare in una corsa sfrenata e folle verso il cartello che misura la velocità delle macchine, in un salto dal palco verso il proprio pubblico alla fine di un assolo di chitarra, fiduciosi nel mondo, fiduciosi che non ci lasceranno precipitare nel vuoto per nessun motivo. Perché in fondo la felicità, quella autentica, quella verace, è proprio qui, nelle piccole cose.

 

 

CLAUDIO CESARONI