IERI OGGI .
. .ROMANI
Tevere. Un vecchio , con una lunga tunica, seduto e pensoso.
Qua
e là in posizione accovacciata, sette ragazzi che
rappresentano
i sette colli. Entra una ragazza
cantando
"Roma
Capoccia",
Ad
un certo punto s'affaccia al muretto guarda giù e s'interrompe
immediatamente
.
ROMA
CAPOCCIA
(A. Venditti)
RAGAZZA: Quanto sei bella Roma quand'è sera
quando la luna se specchia dentro ar fontanone
e le coppiette se
ne vanno via, quanto sei bella Roma
quando
piove.
Quanto
sei bella Romaquand'è er tramonto
quando l'arancia rosseggia ancora sui sette colli
e le finestre so' tanti occhi, che te
sembrano
dì:
quanto sei bella
CORO Oggi me sembra che, er tempo se sia fermato
qui.
RAGAZZA: Vedo la
maestà der Colosseo,
vedo
la santità der cuppolone...
RAGAZZA: Oddio, ch'è successo! Er Tevere... er Tevere nun c'è sta più.
Oh mamma mia, nun c'è sta più. Ah Nando, corri a vede, er Tevere
è sparito, corri.
NANDO: Aho, e ciai raggione. E ch'è successo? Voi vedè che se sò fregati
pure er fiume. Ma. . . n'è che so' stati l'alieni; vatte.un po' a fida'
de li stranieri.
RAGAZZA: Cori, va a chiamà li pompieri, il 113, movite.
NANDO: Si coro, ...ma, spetta, lì c'è quer vecchio, sentiamo mò chiediamo a lui.
Ehi, voi, a quell'omo, Ma avete visto gniente, sapete che je
successo ar Tevere?
VECCHIO: (sollevando la testa) Piano, piano, che stai a fà tutta stà caciara.
E sta bbono nò!
NANDO: Aho, ma questo vestito così, qui a quest'ora, me puzza. Tiette pronta
a scappà.
(rivolto al vecchio) Ma voi che ce potete dì? Qui er Tevere è scomparso.
VECCHIO: Ma che scomparso e scomparso. Nun esageramo. Aò, mo uno nun se pò
prende un momento de riposo, pè stassene in santa pace a pensà a li
fatti sui, che subbito succede er finimonno
RAGAZZA: Come sarebbe a dì un momento de riposo! Io nun capisco più niente.
E che, pure er fiume mo se riposa. Ma tu, che stai a di, sei matto!
VECCHIO: No, ferma: E tu stà bbono, no! Mo te spiego. Io so..., io so... ,
(pomposamente) io so er Tevere!
NANDO: Co..., come? Ma che stai a dì, ma come pò esse? (Rivolto alla ragazza)
Lo dicevo io che era matto.
VECCHIO: Mo c'ho da fà pè famme crede. Te dico che so er Tevere!
NANDO: e perchè te saresti fatto omo?
VECCHIO: Beh, me pare che tra voi usa che quando uno se vò giustificà de
quarche cosa, dice: "Ma mettite nelli panni mia". E io ho voluto
provà davvero a metteceme nelli panni vostri, pe cercà de capì quello
che sta a succede.
RAGAZZA: E perchè, che sta a succede de tanto particolare?
VECCHIO: Ah, perchè voi non v'accoregete de gniente, dormite da piedi!
Ma come, io nun posso più respirà da quanto m'avete inquinato l'acqua,
i sorci me se magnano pure le mutande! Intorno c'è un tale casino che
nun riesco più a chiude un occhio nè giorno nè notte, e pè voi non
succede gniente. E se nun credete a me, ve faccio sentì quello che ne
pensano sti amici miei, che conoscono sto posto come me.
Dai, Esquilino, Viminale, Gianicolo, Aventino, Palatino, Celio,
Quirinale, alzateve, nun vè vergognate, fateve sentì.
7 COLLI: (Alzandosi lentamente) Ecchece!
QUATTRO
AMICI
(G.Paoli)
CORO: Siamo
noi i 7 colli qua
stiamo
qui a veder passare il mondo
tante
cose abbiamo visto che
mostran
come l'uomo sta cambiando
abbiam
visto passar davanti noi
pastorelle
ed amorini qua
e
poi eserciti guerrieri
che
partivan tutti fieri
pronti
per il mondo conquistar.
E
noi siam rimasti sempre qua
anche
se l'aspetto ci han cambiato
l'uomo
nasce cresce e se ne va
noi
restiamo qui a guardare il mondo.
VECCHIO: Dite un pò pure voi. La Roma de oggi è come quella de na vorta?
I COLLE: No, nun c'è proprio paragone.
Io c'iavevo le pecorelle a pascolamme in groppa, mo' c'ho ducentomila
palazzi che manco gliela faccio più a reggeli.
QUIRINALE: E dillo a me, io già so vecchio e poi dai che tutti me passano su e giù
co' sta storia de "salì al Quirinale" che tra un po' sarò consumato fino
all'osso.
III COLLE: E si, 'n c'è gniente da fa, er passato era sicuramente mejo.
VECCHIA
ROMA
(M. Ruccione)
NANDO: Ma questi sò i soliti discorsi de li vecchi, che dicono sempre
" il passato è meglio!"
VECCHIO: A sì, e sai mò che famo, te lo faccio proprio vede, così te convinci.
Partimo proprio dall'incomincio... Dunque..." C'era una volta"...
SCENA II
VECCHIO: C'era una volta un guerriero, di nome Enea, che dovette dà scappà dar
paese suo,
che se chiamava Troia, perchè li Greci javevano dato foco e quello, naviga naviga,
arrivò là 'ndove io me butto ner mare "
VAGABONDO
(Nomadi)
CORO: Io un giorno crescerò
e
nel cielo della vita volerò
ma
un bimbo che ne sa,
sempre
azzurra non può essere l'età.
il
vento sulla pelle
sul
mio corpo il chiarore delle stelle
chissà
dov'era casa mia
e
quel bambino che giocava in un cortile!
Io
vagabondo che son io?
Vagabondo
che non sono altro
soldi
in tasca non ne ho
ma
lassù mi è rimasto Dio
ENEA: (Rivolto ai suoi) Finalmente siamo giunti nel luogo che gli dei ci hanno
assegnato per fondare una nuova città. Nel mio destino è già segnato che io
prenderò in moglie Lavinia, una principessa delle genti che vivono qui.
LAVINIA: Ma che mo' va tutto a rotoli? Ero già promessa all'omo de. . . turno.
ENEA: E adesso arrivo io, l'uomo del FATO e nello scambio c'hai pure guadagnato!
LAVINIA: Se lo dici tu!!
ENEA: E tu, Ascanio, figlio mio, sarai il progenitore di una stirpe che fonderà
una città Roma che porterà le sue bandiere in tutto il mondo.
ASCANIO: E io sarò degno di tale glorioso destino.
VECCHIO: Senti , senti sti guerrofondai: E da gente poi al giorno d'oggi vonno caccià via sti
pori extra-comunitari. E mica se ricordano che pure l'antenati loro venivano da lì.
. . .e poi, pè seguità il discorso, tra li discendenti de sto tizio, fra cugini, parenti
vari, scappa fori na vestale, na specie de monica, che fra n'occhiata ar foco sacro e
l'altra, je ce scappa de scaldasse anche con Marte, e scappa qua e scappa là, ce so
scappati i due gemelli.
A proposito: "A Lupaaa! scenni giù dar Campidoglio, viette a fà un giretto e viè
a raccontà a sta gente. . . la storia de Romolo e Remo".
(Arriva la lupa cantando spunta la lupa dal colle)
SPUNTA LA LUPA DAL COLLE
(P.Bertoli: Spunta la luna dal colle)
CORO: Spunta la lupa dal colle, spunta la lupa
dal colle
spunta
la lupa dal colle, spunta la lupa dal colle.
In
fondo alla valle tra boschi e sorgenti
la
lupa s'aggira furente.
E'
in cerca di un po' di cibo
la
sete la spinge al fiume,
nessuno
la può avvicinar.
Spunta
la lupa dal colle, spunta la lupa dal colle,
spunta
la lupa dal colle!
LUPA: Ecchime. . .fiume balordo, fai il duro. . .è vero, ma quella mattina, che hai
trovato er cesto co quelle du criature che piagneveno, anche tu sei commosso
Io stavo su la riva e me so arrivati sti ragazzini sotto i denti, ma me piagneva
core de magnalli, che se 'nvece li avessi magnati, avrei risparmiato tanti guai
ar monno.
Questi che ereno più affamati de me, già 'mpuniti da piccoli, se so attaccati alle
zinne e se so messi a succhià senza creanza.
NANDO: E poi come sono finiti li gemelli?
LUPA: A forza de latte bono, latte de lupo, je s'è fatto anche er carattere e er fisico der
lupo e non c'era nessuno capace de fermalli
Entrano in scena Romolo e Remo cantando:
"Fatece largo che passamo noi
(Folklore)
INSIEME: Fatece largo che passamo noi,
li du gemelli figi de la
lupa.
Semo ragazzi fatti cor
pennello
e le ragazze famo innamorà.
CORO: Ma che ce frega, ma che ce importa
se nun ciavemo de che campà
ciavemo idee, ciavemo
voglia
e poi la grana arriverà.
Ma però noi semo quelli che
che fondammo na città
e sarà quella famosa Roma
che tutto er monno
dominerà.
REMO: A Romolè, qui er tempo passa e bisogna comincià a pensà de trovasse
' n lavoro
sinnò nun se magna.
ROMOLO: E che penseresti de fà. . .
REMO: Co tutta sta terra de nessuno, la coltivamo . . .
ROMOLO: Ma che ciai l'acqua ner cervello, te vo spezzà la schiena e fa 'l
coltivatore diretto . . . io avrebbe pensato de fa 'n paese . . . 4 case . . .na
piazza, du condomini de lusso e . . .l'affitamo.
REMO: L'idea non è male, ma da 'ndo se comincia?
ROMOLO: Semplice . . . cominciamo a fa le fondazioni co l'aratro e famo capì che qui c'è
'l cantiere . . .
REMO: E si te dicheno quarcosa?
ROMOLO: Che me frega . . . pago er condono. A Remo nun perde tempo. porta qua
l'aratro e scava er sorco.
(Romolo scava il solco e poi mette il cartello "Città di
Roma")
se entra a pagamento . . . targhe pari. . .
REMO:
E me canzoni!! Come sarebbe a dì,
c'ho da pagà pur'io?
ROMOLO: E certo . . . la pensata è mia e ciò tutti li
diritti riservati.
REMO: Ma
io so tu fratello, semo parenti.
ROMOLO: Solo
li sordi so parenti fra loro.
REMO: Io
passo e me ne frego.
ROMOLO Si passi senza pagà te dò na botta ne la
capoccia che te stenno.
REMO:
Ma tu guarda sto palazzinaro
'mpunito, provace 'n pò?
(Remo
salta il solco e Romolo prende la pala e gliela dà sulla testa)
ROMOLO: Ce senti? O sei sordo? ( Si gira rivolto agli altri)
Mo avete capito come funziona? Cominciamo a dasse da fà . . . e tanto pe
capì chi è Ciccio e chi è Don Ciccio da sto momento me farete er
santissimo piacere de non chiamamme Romolo, ma per fa prima basta RE.
SEI UN MITO
(M.Pezzali: 883)
CORO: Sei
un mito, sei un mito per noi
noi
ti seguiremo sempre dove tu vorrai andar.
Sei
un mito, sei un mito perché
se
tu re vuoi diventare, noi tuoi sudditi saremo.
Sei
un mito, sei un mito per noi
noi
ti seguiremo sempre dove tu vorrai andare.
1^COMPAGNO: Si ma er Re senza la Reggina, che senso cià?"
2^COMPAGNO: Tocca trovasse le donne
ROMOLO: Qua vicino ce stanno i Sabini che cianno certe femmine troppo bone pe loro,
annamo là e se le prendemo.
(Escono i
romani, entrano i sabini e subito dopo i romani)
RATTO DELLE SABINE
(Folklore sul motivo Oh quante belle figlie madama Dorè)
ROMANO: Oh quante belle donne Sabino che c'hai,
oh
quante belle donne
SABINO: So' belle e me le tengo qua strette pe' me,
so'
belle e me le tengo
ROMANO: Il Re ne vo' quarcuna da portà co' sè,
il Re ne vo' quarcuna
SABINO: Si le volete prenne dovete lottar,
si le volete prenne
ROMANO: Pe' queste belle donne siam pronti a
pugnar,
Sabini state in guardia (2 volte)
(ZUFFA)
MA 'NDO VAI
CORO Sì, lo sai,
senza
le donne ma 'ndo vai
mio
bel romano,
prenditi
la mia mano.
Ce ne andrem
e Roma noi popolerem,
vieni
con me
insieme
noi vivrem.
Vengo
con te,
felici
noi sarem.
SCENA III
VECCHIO: Romolo fu er primo de sette re, sotto i quali Roma da piccolo villagio
diventò' na potenza, anche perchè, nun certo pacificamente, se pigliò tutte
le terre che li vicini sua, compresi quei pori Etruschi tanto civili.
SI PUO' DARE
DI PIU'
(G.Morandi)
CORO: Si può
fare di più
conquistare
vogliam
tante
terre che poi
spartirem
tra noi
un
esercito siam
di
guerrieri ed eroi
e
vogliam conquistar
sempre
di più, sempre di più,
sempre di più.
UN COLLE: Ma li romani, se stufarono pure de li Re, li cacciarono, e vollero provà la
Repubblica.
ALTRO COLLE: Aho, l'unica cosa de cui nun se stufavano mai, era de fa la guerra.
3 COLLE: Le legioni marciavano impettite pe' sottomette l'altri popoli e nun solo
pe' tutto ,lo stivale, ma pure in Africa, dove s'annarono a 'ntuzza'
co li Cartaginesi.
(Entra in scena Catone, passa dicendo: CARTAGO DELENDA EST.)
VECCHIO: E quelli erano tosti, mica je bastò na' guerra sola. Tra ic e oc passareno
più de cent'anni e ce vollero tre guerre.
NANDO: Ma stai parlà delle guerre puniche!
VECCHIO: E già, "puniche" perchè quelli erano puni, sarebbero a dì "impuniti".
(Entra nuovamente Catone dicendo: CARTAGO DELENDA EST).
VECCHIO: E più impunito de quelli era n'certo Annibale, fratello de Asdrubale,
e figlio d'Amilcare, che addirittura s'enventò da arrivà a Roma
de sorpresa passando pe' le Alpi co li lifanti.
(Ripassa Catone: CARTAGO DELENDA EST)
RAGAZZA: Ma chi è questo che passa e ripassa e nun se capisce quello che dice?
VECCHIO: Quello è Catone, detto "er Censore" e stà a di, nella lingua sua latina,
che s'a da distrugge Cartagine, perchè se no la guerra non finirà mai.
IL
BALLO DEL MATTONE
CATONE: Dovete da sentirmi,
perchè a lungo ci pensai
Così
non può durare, non la finiremo mai
perciò,
perciò, perciò ripeto all'infinito
si
deve distruggere Cartagine.
CORO: Perciò, perciò, perciò ripete all'infinito
si deve distruggere Cartagine.
CATONE: Da tempo ve lo dico, ma
nessuno vuol sentir
perchè
Roma trionfi questa strada è da seguir
perciò,
perciò, perciò ripeto all'infinito
si
deve distruggere Cartagine.
CORO: Perciò, perciò, perciò,
ripete all'infinito
si deve distruggere Cartagine, Cartagine.
VECCHIO: Però, nà cosa bisogna dilla. Quello fu er periodo delle virtù. Tutti erano
leali, onesti, rispettosi dello Stato.Nun solo non rubbaveno, ma l'unico
scopo della vita loro era servì la patria, a qualunque costo.
NANDO: Proprio
come mò.
(Entra in scena Muzio
Scevola e attilio regolo)
PAPAVERI
E PAPERE
M.SCEVOLA: Io son Muzio Scevola grande guerrier
bruciai la mia mano su ardente bracier
non essere riuscita ad uccidere il
nemico re
la volli punir.
A.REGOLO: Attilio Regolo invece io son
che
in veste d'ostaggio a Cartagine andò
ma
qui in un barile chiodato fui chiuso e da sù
rotolato
fin giù.
INSIEME: E qui noi siamo ora a dimostrare
il
gran valor delle virtù romane.
CORO: E tutti i cittadini
d'età repubblicana
son grandi, grandi, grandi,
son
grandi, grandi, grandi.
Leali,
prodi e onesti e con virtù morali
ai
grandi d'ogni tempo
d'esempio resteran,
d'esempio
resteran.
(Entrano in scena le oche)
1^ OCA: E noi, che ve siete scordati de noi!?
2^ OCA: Noi, che pure passamo sempre da sceme, semo state
messe a guardia der Campidojo.
3^ OCA: E quanno Brenno, co li Glli sua, de notte cercò de entrà
a Roma pe' conquistalla, semo stati noi, a forza de strillà,
c'avemo svegliato li Romani e avemo così sarvato la città.
IL BALLO DEL QUA QUA
(Al Bano)
OCHE: Quando Brenno giunse qua
CORO: Quando Brenno giunse qua
OCHE: Ci voleva conquistar ah, ah, ah.
E
di notte lui arrivo'
CORO: E di notte lui arrivo'
OCHE: Per poter a Roma entrar ah, ah, ah.
Ma
alla porta del torrion
CORO: ma alla porta del torrion
OCHE: con noi oche si scontrò ah, ah, ah.
che
svegliammo i gladiator
CORO: che svegliammo i gladiator
OCHE: con il nostro qua, qua, qua,
CORO: Qua, Qua, Qua,Qua.
Se
tu vuoi guardare, di chi ti puoi fidar,
non
pensare al cane, prendi le oche
col qua, qua, qua.
VECCHIO: E l'anni passano! Roma se ngrandisce sempre di più. A forzaa de guerre
e guerrette se piiarono le terre de li Etruschi, poi dei Liguri, dei Sanniti e dei
Siculi,finchè arrivo Caio Giulio Cesare, che, come sanno tutti quei pori studenti
che per anni so' stati costretti a studiasse er " De Bello Gallico ", conquistò
La Gallia, sarebbe a dì la Francia, la Britannia che oggi se chiama Inghilterra
e fece pure n' sarto in Egitto. E qui se fregò co' le mani sue, perchè s'annò
a 'nnammorà de Cleopatra.
(Entrano Cesare e Cleopatra)
CESARE: A Cleo', allora che t'avevo detto! E' bello sta a Roma, eh. E tu che nun ce
volevi venì.
CLEOPATRA: Mah, guarda l'unico motivo per cui alla fine ti ho accompagnato e che
volevo provare i benefici di queste terme di Stigliano, di cui si parla tanto
bene. Ma, per il resto, preferivo il sole, il caldo de l'Egitto mio.
(A Venditti)
CESARE: Roma, Roma, Roma
t'ho
portato qua
vivi
su li sette colli
c'è
er Tevere che scorre
e
ogni comodità.
CLEOPATRA: Ma che d'è sta Roma,
num ce vojo stà
stavo
tanto bene al Cairo
e
mo' me tocca corre
appresso
a questo qua.
CESARE: Poco fori Roma
te vorrei portà
alle
terme de Stigliano
i
fanghi e l'acqua bona
fan
bella diventà...
CLEOPATRA: Qua vicino a Roma
me
conviene annà,
si
me conservo bene
rimorchio
Marcantonio
e
questo po' smammà
CORO: Roma, Roma, Roma:
VECCHIO: Come se sa' Cesare fece na brutta fine, perchè quell'impunito der nipote suo,
Bruto, l'ammazzò a pugnalate, perchè, diceva Cesare,voleva diventa'
addirittura imperatore.Ma tanto nuncambiò gnente, perchè, quello che
comannò dopo de Cesare, Ottaviano, se nominò da sè imperatore e tutti
quelli che vennero dopo furono imperatori. Quarcuno nun me lo ricordo
più, ma quarc'artro, e chi se lo po' scordà! Nerone:Nerone,per me, fu er mejo.
Pe' non parlà de la moje sua, Poppea, che er nome suo era già tutto 'n
programma.
(Entrano in scena Nerone e Poppea)
POPPEA: Nerò, senti, io nun ne posso proprio più de tu madre Agrippina. O je lo dici
tu de nun impicciasse de li fatti mia, o ce penso io. Je faccio du occhi così
je strappo tutti quei capelli tinti che s'artrova, così vedi che je 'nsegno io
a stà r monno.
NERONE: A Poppe', e lassame perde. Nin me rompe li zibidei. Io ci' ho gi tanti
problemi de li mia da pensà!
Devo fa 'llagà er Colosseo, che nun je la fà più smaltì tutti sti Cristiani.
Li leoni che c'avemo sò tarmente sazi che nun alzano manco più la testa, e
quelli novi nun arrivano per lo sciopero dei dazieri. Le cloache traboccheno,
le strade sò piene de buche. Me sò stufato. Mo' la trovo io la soluzione.
'Nber focheraccio che pulisce e scalcagnifica tutto, e chi s'è visto s'è visto.
MA
L'INCENDIO
(R.Arbore: Ma la notte)
NERONE: Qui dobbiamo rifare tutto quanto da capo
con l'incendio sì,
la città va rifatta poi dal
primo mattone
con l'incendio sì,
io do' foco alle case e mi
metto a guardare
con l'incendio sì
poi la lira io prendo e mi
metto a cantare
con l'incendio sì
CORO: Roma, la distruggi così
NERONE: Roma, la sistemo così.
CORO: Ma l'incendio
NERONE: Sì l'incendio
CORO: Ma l'incendio
NERONE: Sì l'incendio Sì. (Ripetere)
VECCHIO: E me ricordo pure Vespsiano, c'ha legato er nome suo a quei gabbiotti
per soddisfà li bisogni corporali, che serv'ognuno, sprofumano ch'è n' piacere.
E tanti altri che disfeno tutto quello che era stato fatto prima.
(BOTTO)
NANDO: Ahò, e che succede?
TUTTI: Gniente, è crollato l' impero romano.
SCENA IV
VECCHIO: E co' lo sfasciamento dell' impero, cominciarono a calà li barbari che se
scontreno co li Romani, nun ce furono nè vincitori nè vinti, anzi uscì fori
er mondo der Medio Evo. Mo li vedrete ner ballo come so' diversi li
Romani e li barbari e . . . quelli che verranno.
BALLETTO
ROMANI E BARBARI
(Entra
Attila)
ATTILA: Io so' Attila, er flagello de Dio.'Ndo passo io, nun cresce più manco l'erba,
e così me ricorderanno tutti li posteri.Anche se, dovete da sapè, che io in realtà
ero uno buono, uno pacifico, che amavo li fiori e piagnevo quanno dovevo
ammazzà tutta quella pora gente.
Oggi direbbero che ero uno svantaggiato, uno "socialmente deprivato", co li
complessi di inferiorità che me spignevano a distrugge le cose che ammiravo.
Ma a quei tempi la zicologia nun c'era e a me me tocca restà nella storia
co' st' etichetta de barbaro feroce.
L'ANNO CHE VERRA'
(L. Dalla)
ATTILA: Caro
amico ti scrivo per stabilire la verità,
tutti
han sempre detto che barbaro fosse Attila.
Tutti
ti han sempre detto che il flagello fui di Dio,
ma
io son tenero e buono sai e mi interesso all'umanità.
CORO: Vedi caro amico, cosa ti scrivo e ti dico
e
come sono contento di poter dir finalmente,
vedi,
vedi, vedi, vedi,
vedi
caro amico, la verità tutta intera
per
poter riderci sopra e rivedere la storia.
ATTILA: Caro amico ti scrivo per stabilire la verità,
tutti
han sempre detto che barbaro fosse Attila.
Tutti
ti han sempre detto che il flagello fui di Dio,
ma
io son tenero e buono sai e mi interesso all'umanità.
VECCHIO: E così er titolo de "Imperatore" passò agli stranieri. Ma li romani, che te
fanno? Mica ce staveno a perde d'importanza e così misero a capo
della città er Papa, che disse " Tutti quelli che vonno esse imperatori
pe' davvero, devono venì a fasse benedì da me". E così cominciò la
fila di sti vandali. Er primo fu Carlo detto Magno, che veniva dalla
Germania, che prima però d'annà dar Papa, volse per annasse un po'
nelli dintorni de Roma.
(Entrano in scena Carlo Magno,
Emengarda, alcune donzelle e guerrieri)
CARLO: Uhm, bonen faciolen con cotichen, bonen damen! Io essere molto
contento di ozi, specialmente dopo crandi guerre con saxonen!
Venite fanciullen, andiamo a passeggiare al chiaro di lunen!!
EMENGARDA: Carlo aspettami vengo anch'io!
CARLO: No tu no!
EMENGARDA: E perchè?
CARLO: Perchè no!
(Emengarda scoppia a piangere)
CARLO: Senti Emengarden, tu mi hai stufaten con lacrimen end lamentazioni,
io ti ripudio! Sali sul tuo cavallen e vattene a Milanen in conventen:
ho decisen!
EMENGARDA: Oh no! (si rivolge alle ancelle e canta)
I ANCELLA: No, mia Regina, non piangere.
II ANCELLA: Rassegnati al tuo destino: il convento ti attende.
EMENGARDA:
Carlo mi ha lasciata e non mi vuole più,
mi ha messa su un cavallo e mi ha mandato
via.
con i suoi
paladini pensa a battersi,
ed io
rimango qui da sola a illudermi;
che ci
ripensi e venga presto a prendermi,
sarà anche
Magno ma per me è un ipocrita,
son triste
qui "sparsa le trecce morbide"
come Manzoni
un giorno canterà.
Chissà se
lui si pentirà, se con gli amici parlerà
di Emengarda
che, lontana è ma pensa solo a lui;
qui sola non
ne posso più i lunghi giorni senza te
parlare è
inutile, nessuno c'è che si occupi di me.
Non è
possibile dividere la storia di noi due,
ti prego
pensaci amore mio riprendimi con te.
La
solitudine fra noi
questo
silenzio dentro me
è
l'inquietudine di vivere
la vita
senza te.
Ti prego
pensaci perché
non posso
stare senza te
non è
possibile dividere
la storia di
noi due.
La
solitudine...na, na, na...
CORO: Na,na, na. . .
Non è possibile dividere la storia di noi
due,
Ti prego
pensaci amore mio riprendimi con te.
La solitudine fra noi . . .
CARLO: Miei prodi: è giunta l'ora, a malincuoren dobbiamo alzaren
i tacchen e andare a Roma mi aspetta una mag-nifica incoranazionen
in San Pietro.
SEI DIVENTATA NERA
CORO: E lui se ne va a Roma, Roma, Roma
per
farsi incoronare, impertor.
E
lui se ne va a Roma, Roma, Roma
per
farsi incoronare, impertor.
La
via non è lunga
il
Papa ti aspetta
ti
vuole vedere
per
farti saper
che
tutto il mondo mette
nelle
mani tue
che
be-e-e-llo.
E
lui se ne va a Roma, Roma, Roma
per
farsi incoronare, impertor.
E
lui se ne va a Roma, Roma, Roma
per
farsi incoronare, impertor.
SCENA V
VECCHIO: Ma li Papi, e ce credi che se accontentsassero d'ave' er potere
spirituale? Ma manco per sogno! Vollero pure le terre e le richezze.
finchè se presero er centro d'Itlalia.
(Entra il Papa vestito da
soldato)
RAGAZZA: E tu chi saresti?
PAPA: E nun me vedi, so er Papa! So Giulio II!!
NANDO: Er Papa, vestito da Sordato?
PAPA: Embè, nun lo sai che er Papa deve sape' fà tutto? Qui, capirai, come
me giro n'attimo c'è quarcuno che me vo fregà le tere e io me devo da
difende. Presempio mo c'ho Cesare Borgia, er Valentino, che perchè
è fiio de n'artro Papa, dice che la Romagna è sua. E io c'ho da fà!
Capirai, tra lui e su sorella Lucrezia, l'avvelenatrice, sò du vipere.
(S. Casadei)
CORO: Sento la nostalgia d'un passato
ove la mamma mia ho lasciato
non ti potrò scordar casetta
mia
in questa notte stellata
la mia serenata io canto per
te.
Romagna mia, Romagna in fiore
tu sei la stella tu sei
l'amore
quando ti penso vorrei tornare
dalla mia bella, al casolare.
Romagna, Romagna mia
lontan da te, non si può star.
(Entra Lucrezia con dama)
LUCREZIA: Quanto me sta antipatico stò Papa! Me piacerebbe proprio daje un
po' della medicina mia.
DAMA: Ma perchè, è malato?
LUCREZIA: Ma c'hai capito. N' po' de belladonna!
DAMA: E che de'?
LUCREZIA: Ah, ma sei arretrata tanto! E' n' veleno, è il segno mio de riconoscimento.
Altro che Chanel n. 5, Vendetta, Egoiste!
(Agitando la veste) Belladonna, Belladonna, Belladonna! Questo si che
furmina. Chi l'ha bevuto, nun se lo scorda più.
TRINCA TRINCA
CORO: E trinca, trinca trinca buttalo giù con una spinta
poi
vedrai che bella festa.
La
medicina che Lucrezia propina
stai
tranquillo è questa qua.
Lucrezia
Borgia lo serve ad ogni orgia
ogni
fiasco, un fidanzato.
Un
po' di veleno, se l'è bello e scordato
Mai
nessuno la fermerà.
(Esce Lucrezia e Dama riappare il Papa con
un cardinale)
GIULIO II: E
mettice un po' na pezza. (Rivolto al
Cardinale)
Passamo un po' ad argomenti più seri. Chi s'è presentato pè
sta appalto de la casa?
CARDINALE: Ma du poveracci d'imbianchini: uno de Roma, un certo Raffaello
e 'n toscanaccio certo Michele, Michelangelo boh!
GIULIO II: Falli entrà va!
(Entrano Raffaello e Michelangelo litigando)
RAFFAELLO: No, tu non c'hai raggione. La figura umana deve essere leggera,
bella, aerea.
MICHELANGELO: Ma oh che tu dici tutte biscarate: i muscoli, i muscoli s'an da mettere
in rilievo!
PAPA: Aho, e n've sa na de finilla! E sò anni che andate litigando
tra voi, Leonardo e Botticelli, ognuno dice la sua, e noi che
dovemmo da decide a che appaltà sti lavori nun ce capimo più
gnente, tant'è ce costate poco!
(Rivolto a Raffaello) Vediamo un po' Raffae', tu che intenderessi fa'
pè sto palazzo mio.
RAFFAELLO: Bene, io vedrei degli affreschi che descrivono le vostre gesta.....
(Michelangelo avvicinandosi al Cardinale)
MICHELANGELO: Ah, Cardinà m'hai da dà na mano. Ricordate, se vinco io sarai
ricompensato.
CARDINALE Ricompensato come!?
MICHELANGELO: Ti va bene il 10 per cento?
CARDINALE: E famo er 15.
MICHELANGELO: E va bene, ma attento, non frai il grullo eh!
( Si
avvicinano il Papa e Raffaello)
PAPA: E tu Michelangelo
MICHELANGELO: Io ho già spiegato tutto al Cardinale.
CARDINALE: E' vero, è un progetto veramente nuovo ed interessante.
Per me non c'è dubbio.
PAPA: Va be', me fido de te. Raffae', me dispiace ma. . . .
RAFFAELLO: Zoticoni, non capite niente.
CANZONE
PAPA: Progettame un bel palazzo
MICHELANGELO: Il
palazzo gnur no, gnur no.
PAPA: Affresca la sacrestia
MICHELANGELO: La
sacrestia gnur no, gnur no
PAPA: Si nun me la voi fa, in cella te metterò
Si
nun me la voi fa, manco un sordo io te darò
CORO: Si nun me la voi fa in cella te metterò
Si
nun me la voi fa manco un sordo io te darò.
PAPA: Progettame un cupolone
MICHELANGELO: cupolone
gnur si, gnurr si.
PAPA: affrescame na cappella
MICHELANGELO: la
cappella gnur si, gnur si.
PAPA: E quando sarà finita Sistina chiamerò
la
gente da tutto il mondo per sempre l'ammirerà.
CORO: E quando sarà finita Sistina chiamerò
la
gente da tutto il mondo per sempre l'ammirerà.
SCENA VI
(Il sipario si apre su una scena della Rom
dell'800. Lungo-Tevere,
Osteria, due tavoli, uno con popolani e l'altro
con cospiratori)
VECCHIO: (rivolto ai due ragazzi) E così semo andati avanti pè du' secoli.
La gente ha continuato a sopportà sti Papi, che, un po' cor bastone
e un po' co' la carota, riuscivano a tenelli boni. Ma poi cominciò a soffià
un vento de protesta che partì dalla Francia e se allargò in tutta Europa.
E ve pensavate che noi a Roma, nun ce buttavamo a capofitto?
I POPOLANA: E' no! Proprio vero, anche noi der popolino ce semo ribellati, e per anni
le strade de Roma so' diventate barricate: volevamo contà de più e
avecce li stessi diritti de tutti.
II POPOLANA: E mettece pure che adesso tutto er resto d'Italia se stà a unì per
diventà Nazione sotto un Re e solo noi dovemo da restà fora perchè
er Papa non vole perde er regno suo?
I POPOLANA: Io te devo dì la verità, pe me chi comanna comanna, io voglio
l'Italia Unita perchè così sai quanti bei giovanotti piemontesi
arriveranno?
II POPOLANA: Ma che dici? Se manco se capisce quanno parleno!
I POPOLANA: E che te frega? Mica li aspetto pe parlacce!
PIEMONTESINA
(Folklore)
CORO: Vengono i Piemontesi
son
tutti alti e belli
dicono
che son fratelli
portan
la libertà.
Noi
li aspettiamo ansiose
l'accoglierem
festose
sai
quante belle ore
insieme a lor passerem.
I POPOLANA: (Rivolta al tavolo dei popolani dove siedono Rugantino e un compagno)
Aho! Rugantì, la senti questa? Dice che aspetta li piemontesi perchè
so mejo de te!
COMPAGNO: E tanto Rugantino c'è abituato, mica se la pija!
RUGANTINO Ma come te permetti, a 'mpunito! Tu non devi da offenne nè me nè la
donna mia, se no te spacco er core e te spedisco a fa la terra pe l'arberi
pizzuti.
COMPAGNO: E dai, provace se c'hai l faccia, io nun c'ho paura de te!
(RISSA)
RUGANTINO
(A.Trovajoli)
CORO: Porcaccia la miseria
nun
c'ho niente da fa
Mannaggia
la miseria
nientissimo
da fà;
e
rompo li stivali
a
tutta quanta la città,
perchè,
'n c'ho niente da fà.
Rugantinì,
Rugantinà,
nun
c'ha mai voja de lavorà
Rugantinì,
Rugntinà,
tutta
sta forza chi te la dà.
(All'altro
tavolo dei cospirtori)
I COSPIRATORE: Ma smettetela! E' possibile che voi state sempre a litigà,
in un momento così difficile per la nostra città?
I POPOLANO: E perchè? Che c'è de novo?
II COSPIRATORE: (rivolto al I cospiratore) Sta zitto, non rispondere che si ce
copreno le guardie che stamo a cospirà contro il Papa a preparà'
er terreno pe' l'arrivo de l'esercito italiano, finimo sur patibolo a
Piazza der Popolo!
III COSPIRATORE: (entrando in scena correndo) Bersaglieri hanno sfondato
a Porta Pia! Er Papa s'è chiuso in Vaticano e noi semo liberi.
Viva l'Italia, viva Roma Capitale!
(E.Bennato)
CORO: Viva l'Italia,
possiam gridare infine
Viva l'Italia,
saremo uniti dalle Alpi a
Palermo
uniti e liberi noi.
Viva l'Italia,
possiam gridare infine
Viva l'Italia,
in bene in male ancora Viva
l'Italia
insieme e liberi noi.
Siam tutti in piazza a cantar,
fieri,
la libertà ce l'abbiam, ora,
viva l'Italia anche se,
ci teniamo anche il Re,
Siamo italiani.
SCENA VII
(In scena si vede il
Parlamento con un cartello 1870. Tutti chiacchierano,
si litigano le poltrone.)
VECCHIO: Si, viva l'Italia, viva Roma capitale e così nel 1870 se riunì er
primo Parlamento dell'Italia Unita.
PRESIDENTE: Onorevoli colleghi, silenzio mantenete la calma le poltrone ci
sono per tutti. Dò lettura dei punti all'ordine del giono:
1) Stabilire l'entità della nuova tassa sul macinato.
2) Decidere se aumentare le imposte dirette o quelle indirette.
3) Programmare interventi nel mezzogiorno per combattere
la disoccupazione e il brigantaggio.
4) Definire i criteri per il servizio militare obbligatorio.
5) Programmre interventi sostegnodella lira che perde potere a seguito
dell'unificazione nazionale.
6) Aumentare le indennità agli onorevoli che viaggiano per
raggiungere Roma.
(Tutti sì)
VECCHIO: E queste erano le grandi questioni dell'Italia nel 1870.
RAGAZZO: A vecchio, ma che sti a dì. L'altro giorno la TV parlava de stì
problemi che se stanno a discute mò!
VECCHIO: E infatti stanno ancora ar punto de partenza.
(Si
rivede il Parlamento con cartello 1995. Presidente donna)
PRESIDENTE: Onorevoli colleghi, silenzio, mantenete la calma le poltrone ci
sono per tutti. Dò lettura dei punti all'ordine del giorno:
1) Stabilire l'entità della nuova tassa per l'occupazione
del suolo pubblico.
2) Decidere se aumentare le imposte dirette o quelle indirette.
3) Prograammre interventi nel mezzogiorno per combattere la
disoccupazione e la criminalità organizzata.
4) Definire i criteri relativi all'obiezione di coscienza.
5) Stabilire interventi a sostegno della lira che perde potere a seguito
dell'unificazione europea e della crisi nazionale
6) Aumentare le indennità agli onorevoli che viaggiano per
raggiungere Roma.
(Tutti
si)
SOLDI,
SOLDI, SOLDI
CORO: Tasse, tasse, tasse,
ci servon tanti soldi,
i beneamati soldi perchè,
chi ha tanti soldi vive come
un pascià
e a piedi caldi se ne stà.
VIVA I SOLDI.
Soldi, dare e avere,
c'è da aumentare le tasse su
tutto,
tasse, tante tasse
per respirare tu devi a noi
pagar.
Soldi, soldi, soldi,
di bella filigrana
e di monete d'oro perchè,
chi ha tanti soldi vive come
un pascià
e a piedi caldi se ne stà.
VIVA I SOLDI.
VECCHIO: E mò capite perchè me sono stufato e vojo riposamme un pò?
Nun ne posso più de sentì sempre le stesse chiacchiere, tutti
arriveno e prometteno mari e monti, de cambià, de fà, de impegasse
e invece le cose non cambieno mai, anzi, più se va avanti e peggio
è pe' Roma. Sembra sempre che tutto se risolva e nun so bastati
l'anni santi, l'Olimpiadi, i campionati mondiali. Mo stamo a aspettà
er Giubileo, ma io ce credo poco.
RAGAZZO: Ma daje, su, nun perde la speranza. In fonno, prorpio tu ci hai fatto
vedè che Roma alla fine ha sempre superato tutto: è sopravvisuta a li
re, all'impertori, a li barbari, a li papi, a tutti li governi.
Tutti se ne vanno, e Roma resta lì e guarda passà li secoli, e. . .
GRAZIE ROMA
(A.Venditti)
CORO: Dimmi cos'è
che ci fa sentire amici anche
se non ci conosciamo
dimmi cos'è
che ci fa sentire uniti anche
se siamo lontani
dimmi cos'è, cos'è
ch'è forte, forte, forte,
forte in fondo al cuore
che ci toglie il respiro
che ci parla d'amore.
Grazie Roma
che ci fai piangere e
abbracciarci ancora
Grazie Roma
Grazie Roma
che ci fai vivere e sentire
ancora una persona nuova.
. . . . . . . . . . . . . . .
Dimmi cos'è, cos'è
quella stella grande, grande
in fondo al cielo
che brilla dentro di te
e grida forte, forte dal tuo
cuore.
Grazie Roma
che ci fai piangere e
abbracciarci ancor
Grazie Roma
Grazie Roma
che ci fai vivere e sentire
ancora una persona nuova.
Dimmi chi è
che me fa sentì importante
anche se nun conto niente
che me fa re
quanno sento le campane la
domenica mattina
dimmi chi è, chi è
che me fa campà sta vita così
piena de problemi
e che me dà coraggio se tu nun
me voi bene.
Grazie Roma
che ci fai piangere e
abbracciarci ancora
Grazie Roma
Grazie Roma
che ci fai vivere e sentire
ancora una persona nuova.
VECCHIO: Aho', va bè m'avete convinto, forse è mejo che ritorno a fà er
fiume, a esse er testimone de Roma, a vedè passà su li ponti
sempre gente nova che s'affanna, ride o se dispera m poi nun se sa
come, s'enventa un modo pe campà e trova un posto tutto pe loro.
TUTTI: Così è sempre stato e così sarà IERI, OGGI . . .ROMANI.
AGGIUNGI UN POSTO A TAVOLA
(J.Dorelli)
CORO: La
storia qui finisce, e vogliamo ringraziar
chi
ha avuto la pazienza di starci ad ascoltar
abbiam
ben lavorato e speriamo che anche voi
vi
siate divertiti a stare insieme a noi
scoprendo
che la storia è quasi sempre ugual.
Ed
ora ad uno ad uno vogliamo richiamar
gli
amici che con noi sono stati a recitar
per
qui mostrare a tutti che questa gran città
con
la sua lunga storia ha detto al mondo che
cadendo
e risorgendo comunque eterna è.
La
porta sempre aperta, la mano sempre tesa
la
porta sempre aperta la mano sempre tesa
la
porta sempre aperta la mano sempre tesa
il
fuoco sempre vivo la luce sempre accesa
Ciao,
ciao, ciao, ciao,
ciao,
ciao, ciao, ciao,
ciao,
ciao, ciao.
La
storia qui finisce e vogliamo ringraziar
chi
ha avuto la pazienza chi ha avuto la pazienza
di
starci ad scoltar,
gli
amici a questo servono a stare in compagnia
sorridi
al nuovo ospite, non farlo andare via,
dividi
il companatico, raddoppia l'allegria,
aggiungi
un posto a tavola e così . . .
così
sia.