Fëdor Dostoevskij
L'idiota



 
Nell'incredibile galleria di ritratti dostoevskiani che si ammirano tutti con lo stesso infelice appagamento di scovare la mela bacata nella "canestra" di Caravaggio, emerge solenne L'idiota, in cui ancora una volta si rende creativa tutta l'impurità di Dostoevskij. Un romanzo che non sembra esser mai passato per lo stato embrionale, un romanzo nato non già per divenire grande ma per esserlo fin dal suo primo respiro (dalla prima pagina, dalla prima riga, dalla prima parola...) grazie ad una perfetta cristallizzazione dell'idea. Forse fu nel delirio di un acceso nazionalismo "slavofilo" (per cui lo scrittore credeva che al popolo russo fosse affidata la sacra missione di pacificare il mondo) che Dostoevskij cominciò ad impegnarsi nella formulazione di un uomo totalmente bello. Questa totale positività, postulata su una controcultura dell'amore inteso come imperioso dominio delle più oscure pulsioni (che però non trovano la forza di mostrarsi a causa di una certa puerilità mai superata) e all'opposto, come passione in lettura cristiana, si esprime nella figura del principe Miškin.Discendente di una nobile famiglia decaduta, creatura spiritualmente superiore, condizionata da una illimitata fiducia negli altri e dalla convinzione che ogni gesto umano debba esser volto al bene, il protagonista è malato e per questo additato come idiota.Miškin è però vittima di un'idiozia che non appare invalidità ma strumento divino di defamiliarizzazione dalla realtà che permette al lettore di abbandonare l'ombra delle proprie palpebre per assurgere alla luce della sua ingenuità. 

Seguiamo le vicende di questo eroe dal momento in cui entra in una Pietroburgo inquieta e convulsa, in qualità di attore passivo di un'intricatissimo turbine di avvenimenti insieme alla bellissima Nastasja che il principe tenterà di risollevare da un abisso morale, di Rogozin, degli Epancin e degli Ivolgin.
Nonostante la consistenza del suo bagaglio spirituale, il ruolo di Miškin non si rende fruttuoso ma anzi non fa altro che accellerare l'azione, facendola precipitare in un vortice finale che decreterà il trionfo del male, simbolizzato dall'assassinio di Nastasja per mano dell'amante e dalla malattia di Miškin che da pura patologia piomba irreversibilmente in uno stato permanente. Una tragedia irriducibile come tutte le tragedie di quest'autore, impossibile da pacificare o eludere se non con l'accettazione di essa.
Il bello è l'ideale, e l'ideale sia quello nostro che quello della civilizzata Europa, è ancora lungi dall'essersi elaborato." (Fëdor Dostoevskij)

Francesca Standoli