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DonatoBramante    
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Tendenza artistica del Novecento italiano, si affermò nel 1910 nella produzione pittorica di Giorgio de Chirico: in particolare con i dipinti "L'enigma di un pomeriggio d'autunno" (ubicazione ignota) e "L'enigma dell'oracolo" (collezione privata, Berlino). La pittura metafisica voleva far leva su un effetto di sorpresa e sulle suggestioni immediate suscitate dal quadro, ricorrendo a immagini irreali e fantastiche. Importante era soprattutto l'ambientazione che – in una scena nitidissima, senza nulla di deformato o di irriconoscibile, con toni di colore freddo e chiaroscuri dai contrasti fortissimi – annunciava presenze solitarie quali piazze, torri, statue, edifici senza età, nature morte e piccole figure di uomini indistinti che sembravano trovarsi dentro il quadro come per incantesimo. Anche se sullo sfondo passa un treno, se due personaggi danno l'impressione di parlare tra loro, se una ragazzina corre con un cerchio, l'esistenza non sembra possibile in dipinti quali "La piazza d'Italia" (1915, collezione privata, Roma), "Nostalgia dell'infinito" (Museum of Modern Art, New York), "Mistero e malinconia di una strada" (1914, collezione privata, New Canaan). Per il "maestro degli enigmi", come venne soprannominato De Chirico, l'opera d'arte era divenuta una rivelazione, un salto di qualità rispetto all'esperienza che presupponeva: una vasta conoscenza dell'arte classica, di Giotto e Tiziano, delle luci e dei paesaggi di Claude Lorrain, della pittura simbolista e di quella romantica di Max Klinger e Arnold Böcklin, e poi le evocazioni letterarie di Friedrich Nietzsche e Giovanni Papini, che De Chirico conobbe a Firenze. La metafisica non fu mai un movimento, ma soltanto un'esperienza pittorica e intellettuale che per un breve tempo riunì accanto a De Chirico il fratello Alberto Savinio e Carlo Carrà, incontrato a Ferrara nel 1916, in piena guerra. Fu quello il periodo delle Muse inquietanti e dei manichini di Ettore e Andromeda (entrambi nella raccolta Gianni Mattioli, Milano), in cui De Chirico teorizzò che, per diventare immortale, un'opera d'arte deve sempre superare i limiti dell'umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica. In realtà i suoi manichini furono ispirati anche da Savinio che nel 1914, nel poema "Les Chants de la Mi-Mort" pubblicato sulla rivista "Les Soirées de Paris" di Guillaume Apollinaire, annunciava la presenza di uomini senza voce, occhi, volto: fantasmi che anch'egli dipinse in Senza titolo (collezione privata). Ma il sodalizio fra i tre artisti non durò molto. Carrà, che proveniva dal futurismo, voleva stupire comunicando il significato di un'immagine o di un oggetto quotidiano attraverso il rigore della forma, come in La musa metafisica (1917, Pinacoteca di Brera, Milano) e L'ovale delle apparizioni (1918, collezione privata). De Chirico e Savinio, invece, cercavano un altro genere di suggestione, più intima e filosofica. La rottura avvenne nel 1919, dopo la pubblicazione del libro di Carrà "La pittura metafisica", in cui De Chirico non fu neppure citato. In seguito l'esperienza metafisica venne raccolta soprattutto in Francia, da Max Ernst e dai surrealisti, e in Germania da George Grosz e dal gruppo della Nuova Oggettività. Sporadica l'adesione di Morandi a questa corrente.

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