3 D anno scolastico 1999 -2000

Presentazione

Noi ragazzi della 3D presentiamo alcuni dei nostri lavori migliori con le parole di un grande linguista, Stephen Ullmann “Il linguaggio è una forza attiva che forma e modella le nostre idee e le nostre operazioni mentali in una misura inaspettata nel passato”.Ci siamo resi conto che la ricchezza dei materiali linguistici è condizione indispensabile in ogni tipo di operazione logica e in ogni aspetto del nostro mondo.In questi nostri testi abbiamo cercato di scrivere in modo chiaro e semplice, riflettendo su quanto letto e costruendo con fatica il nostro mondo interiore. A chi leggerà chiediamo suggerimenti o critiche per divenire migliori.Grati di ciò vi salutiamo.

La classe 3D della”ITALO CALVINO” .

 bottoneblu.jpg (846 byte)Analisi stilistica dell’ “Infinito” di Giacomo Leopardi: FABRIZIO ZANONI

 Questa poesia è un idillio, cioè una composizione che descrive un paesaggio sereno. I versi sono endecasillabi e la rima è libera. La composizione è divisa in due metà di 7 versi e mezzo e il ritmo della poesia è reso lento ma continuo dalla presenza della congiunzione “e” (polisindeto).

Le parole “profondissima”, “interminati”, “sovrumani” sono state usate da Leopardi per sottolineare la sua riflessione sull’infinito del tempo, l’eterno, e l’infinito dello spazio. Vi sono, inoltre, molti enjambements che rendono il ritmo più legato, senza staccati e, nello stesso tempo, sottolineano la parola con cui inizia il verso successivo.

Il tutto rende l’atmosfera d’inquietudine e di ricerca interiore della prima parte, e il senso di maggiore serenità della seconda, nello smarrirsi, perché il poeta si libera del “qui” e dell’”ora” della sua vita reale.

 bottoneblu.jpg (846 byte)Analizza i primi cinquant’anni dell’Italia dopo il 1871: FABRIZIO ZANONI 

          L’Italia, al momento dell’unità, si trovò a dover fronteggiare un deficit di bilancio stimato attorno al milione e mezzo di lire. Per fronteggiare questo grave problema, la Destra storica impose forti tasse, come quella sul macinato, che aggravarono la già difficile situazione economica delle persone dei ceti più poveri. Questa politica diede buoni frutti perché nei primi anni del ’70 il bilancio dello Stato fu pareggiato grazie, soprattutto, agli enormi sacrifici economici che la popolazione del Sud dell’Italia dovette affrontare.

Dopo la nomina di Giolitti (1903), l’Italia fece un grande passo avanti in campo sociale: nel 1912, per volere dello stesso Giolitti, vennero ammessi al voto anche i nullatenenti e gli analfabeti di sesso maschile ed il numero degli aventi diritto al voto salì dai 2.000.000 della riforma Depretis, agli 8.500.000 della riforma Giolitti.

Un altro grande passo avanti fu compiuto da Depretis con la legge che obbligava la frequenza gratuita del primo biennio della scuola elementare. Molti bambini, soprattutto al Sud, però, non frequentarono la scuola, o perché erano impegnati nel lavoro, o perché gli edifici scolastici erano lontani dalle loro abitazioni, o perché la scuola comportava comunque una spesa. Il tasso d’analfabetismo rimase, quindi, molto alto.

        La politica protezionista attuata dal Governo a partire dal 1887 diede i risultati sperati: l’Italia vantava, ora, un’economia florida che permise lo sviluppo di industrie situate soprattutto nel Nord; a Sud, infatti, le condizioni economiche erano ancora arretrate e non vi era una borghesia mercantile in grado di avviare un’attività. Le industrie che nacquero in questo periodo sono: Alfa Romeo, Lancia e FIAT in campo automobilistico; Olivetti come fabbricatore di macchine da scrivere; Pirelli come produttore di pneumatici.

        Subito dopo l’unità d’Italia si era sviluppato il fenomeno del brigantaggio. I briganti erano, perlopiù, contadini meridionali che protestavano con la ribellione per ottenere dal Governo una riforma agraria che potesse loro permettere di vivere in condizioni migliori. I briganti vivevano saccheggiando e derubando ed erano sostenuti dai Borboni che volevano riprendere il potere.

Per fronteggiare il fenomeno del brigantaggio fu varata una legge che proclamava lo stato d’emergenza; fu attuata una repressione feroce e in quattro anni (1861/1865) il fenomeno fu debellato.

Tuttavia il problema delle misere condizioni dei contadini rimase invariato e il Governo, con questa durissima repressione, non fece altro che inimicarsi le popolazioni meridionali.

 bottoneblu.jpg (846 byte)Immagina di essere presente al Congresso di Vienna: FABRIZIO ZANONI

 Vienna, autunno 1814 ore 10.00, si apre il Congresso che deve stabilire i confini degli Stati europei dopo l’avvento di Napoleone. Sono presenti: Metternich, rappresentante austriaco; Alessandro I zar di Russia e re di Prussia; Lord Castlereagh e il duca di Wellington in rappresentanza del re d’Inghilterra; il re di Spagna; i sovrani degli Stati italiani; il presidente della Confederazione svizzera; il cardinale Consalvi in rappresentanza del Papa e molti altri.

        Il primo ad intervenire è Castlereagh che afferma che l’Inghilterra rinuncerà alle terre, se le sarà assicurato il predominio dei mari; a lui replica Alessandro I dicendo che farà lo stesso. Successivamente Metternich chiede alla Francia ed ai presenti di stabilire a quanto debba ammontare la multa per le conquiste e i danni causati da Napoleone; a lui risponde calmo Talleyrand con queste chiare e astute parole: ”La Francia non è Bonaparte. La Francia è felice di aver riavuto il suo legittimo re” ed illustra i vantaggi del legittimismo ai presenti, che decidono soddisfatti di applicare questo principio a tutti gli Stati europei. Il Cardinale Consalvi, che ha assistito con molta spossatezza al Congresso fino a tale momento, si alza ed afferma che l’unico interesse del Papa è di riavere i suoi territori che dovranno essere rispettati dagli eserciti stranieri.

        Dopo Consalvi si concludono gli interventi e si stabiliscono i confini e i sovrani che secondo il principio di Talleyrand debbono tornare al potere: i Borboni tornano in Spagna e a Napoli, Luigi Bonaparte abbandona l’Olanda e la Francia conserva quasi tutti i territori in suo possesso nel 1791.

        Alle 19.30 si conclude la prima giornata di un Congresso che durerà fino al giugno del 1815.

bottoneblu.jpg (846 byte)Il  problema del lavoro per i giovani nella nostra società: FABRIZIO ZANONI

 Il problema del lavoro è un problema che si è sollevato da un decennio e sta diventando col passare degli anni un vero e proprio dilemma vista la difficoltà della nuova generazione a trovare un posto di lavoro che possa assicurare un futuro sicuro e stabile. La selezione che si è creata è spietata e giovani intelligenti con tanto di laurea non riescono a trovare un lavoro che possa soddisfarli. Questo spietato combattimento per un posto di lavoro è dovuto alla selezione e ai requisiti non comuni richiesti dai datori del lavoro desiderato. Si sta creando un nuovo modo di lavorare: infatti, non esisterà più il posto fisso, e quindi bisognerà saper fare bene molti lavori, per non ritrovarsi spiazzati in caso di licenziamento. Anche questo nuovo modo di lavorare si va ad aggiungere ai motivi della disoccupazione giovanile che tra qualche anno interesserà anche me e i miei compagni. Sarà molto difficile riuscire a fare quella che ci eravamo prefissati da bambini, come hanno fatto i nostri genitori o addirittura i nostri nonni, ma ci dovremo “accontentare” di un lavoro qualsiasi. Penso che questo punto sia un “neo” del nuovo pensiero di lavoro che si sta diffondendo a macchia d’olio sul nostro territorio, perché è importante lavorare volentieri per svolgere il proprio lavoro con cura e precisione. La tecnologia sta entrando prepotentemente nel mondo del lavoro e il campo dell’informatica è uno dei venti lavori emergenti in Italia; in aumento anche i lavori collegati all’aiuto degli anziani, all’ambiente, alla cultura, ai sistemi di sicurezza informatica, alle riprese televisive, ecc.

In conclusione, secondo me, sarà indispensabile studiare e laurearsi per sperare di trovare il lavoro che più ci ripaghi e ci soddisfi in un futuro racchiuso in un grande punto interrogativo.

 bottoneblu.jpg (846 byte)ANALISI STILISTICA DELLA POESIA “L’ infinito” DI GIACOMO LEOPARDI: CAPUANO ILARIA

La poesia “L’infinito”, di Giacomo Leopardi è divisa in due parti e composta, in tutto, da quattro periodi. Nella prima parte sono presenti alcuni enjambements (“INTERMINATI-SPAZI” “SOVRUMANI-SILENZI”) che contribuiscono a creare un ritmo continuo ed una musicalità del ritmo. La musicalità è ribadita dell’unione, in alcune, in alcune parole, di una vocale con una liquida (la R o la L), in modo che la ricorrenza d’alcuni suoni crei una catena sonora. Per descrivere luoghi “chiusi”, Leopardi utilizza parole polisillabiche, come “CARO”, “ERMO”, etc., mentre per i luoghi “aperti”, immensi usa parole polisillabiche, come “INTERMINATI”, “IMMENSITA’”, etc.

I versi della poesia sono endecasillabi sciolti, senza rime; questo perché l’autore si è ispirato ai principi del Romanticismo, che rifiutano il “tradizionale”. 

 bottoneblu.jpg (846 byte)COMMENTO ALLE POESIE DI UNGARETTI di ILARIA CAPUNO

 Il poeta Ungaretti, nella poesia “San Martino del Carso”, esprime due concetti: che la guerra è stata disastrosa (“QUALCHE BRANDELLO DI MURO”, “NON E’ RIMASTO NEANCHE TANTO”) e che il suo stato d’animo è triste e desolato. Ciò perché egli ha visto la morte intorno a sé ed, infatti, afferma nello 11° e !2° verso che “E’ IL SUO CUORE IL PAESE PIU’ STRAZIATO”, in quanto ricorda tutte le persone a lui care, ormai morte. Ungaretti scrive anche che nel suo cuore non manca nessuna croce poiché, appunto, anche se i suoi cari sono morti, egli li mantiene vivi nel suo animo. Nell’altro componimento, “Veglia”, il poeta utilizza, per esprimere un’immagine realistica e drammatica della guerra, 5 participi, che danno un’idea di durezza e secchezza. Infatti, il suono che più accentua tale idea è quello della T, che è usata molto spesso. Sebbene la prima parte sia piuttosto tragica, irreale e dedicata all’atrocità della guerra, la seconda esprime tutto l’attaccamento del poeta alla vita (soprattutto con l’espressione “HO SCRITTO LETTERE PIENE D’AMORE”). Sicuramente, il messaggio che Ungaretti vuole trasmettere attraverso quest’opera è che proprio in momenti drammatici ed atroci si comprende quanto sia importante vivere. Nella terza poesia “sono una creatura”, l’autore paragona se stesso ad una pietra. Per far ciò, egli deve usare aggettivi quali FREDDA,   DURA, PROSCIUGATA, REFRATTARIA ecc., che identificano perfettamente tale oggetto. Ungaretti, usando insistentemente il suono della “t”, dà alla poesia un tono aspro e pungente, che si concilia con la sua sofferenza, che è talmente grande da farlo “PIANGERE SENZA LACRIME”. Il messaggio contenuto in “Sono una creatura” è quello che l’esistenza, secondo il poeta, straziato dagli orrori della guerra, non è altro che una punizione e che la morte è una pura liberazione da tutte le atrocità e dalle sofferenze vissute. Tra le due poesie “Veglia” e “ Sono una creatura” ho notato che esiste una contraddizione: nella prima, Ungaretti esprime il suo amore per la vita, mentre nella seconda, questo sembra scomparso. Questo perché, tra il ’15 e il ’16 (rispettivamente, i due anni in cui le due opere sono state scritte), probabilmente l’autore ha vissuto tali e tante atrocità che la bellezza della vita, per lui, è svanita.     

 bottoneblu.jpg (846 byte)DIARIO DI EDMONDO DE AMICIS: 15 MARZO 1905: ILARIA CAPUANO. Traccia del tema: “Immagina che De Amicis tenga un diario”)

 Oggi mi sono imbarcato per l’America. Quando sono arrivato al porto ho assistito ad uno spettacolo alquanto misero: v’ erano donne povere, vestite di stracci, che tenevano per mano i loro figliuoli e che reggevano dei sacchi con i denti; c’erano operai, contadini e contadine, magre da far paura, ragazzetti giocosi e, ogni tanto, passavano signore ben vestite, con le loro cappelliere. Poi, la “sfilata della povertà” ricominciava. La nave sembrava una balena intenta a succhiare sangue italiano. Ho notato soprattutto come i poveri temano di essere imbrogliati da un ufficiale nel conto dei posti per i bambini e per i ragazzi. Infatti, s’imbarcavano gruppi di sei persone; chi aveva una famiglia composta da meno di sei membri doveva farsi iscrivere con il primo venuto, quindi scattava la diffidenza. Poi, le donne venivano separate dagli uomini, e non si capacitavano in mezzo a tutta quella confusione. Ne ho vista una piangere, perché sua figlia era morta prima di imbarcarsi e lei e suo marito avevano dovuto lasciare il cadaverino all’Ufficio di Pubblica Sicurezza del porto! Gli uomini, invece, risalivano in superficie, dopo aver lasciato le loro cose e le loro donne nelle cabine di sotto e non si guardavano attorno, né esploravano il piroscafo. E’ sorprendente quanto sia scarso l’interesse verso il nuovo, da parte di questi poveri, che pensano principalmente al cibo ed ai vestiti. Mah, da una parte li capisco: se i bisogni primari non sono soddisfatti è difficile che si pensi a qualcos’altro. Poi, ho udito delle urla provenienti dall’ingresso della nave, dove un medico aveva proibito ad una famiglia, affetta da pellagra, di imbarcarsi. Il padre aveva cominciato a dare di matto. Finalmente, dopo una lunga attesa, il piroscafo è partito, trai pianti delle donne e le urla spente dei fanciulli. A poco a poco vedevo la mia Italia allontanarsi e, ad un certo punto, ho udito un vecchio gridare sarcasticamente, tendendo il pugno alla costa ormai distante,: “ Viva l’Italia!”

Sono disceso poi nel mio dormitorio, triste e sconsolato per ciò che avevo udito, e mi sono ritrovato in un ambiente puzzolente e stretto, con gente di tutti i tipi: Francesi, Italiani, Spagnoli, tra cui preti, tenori, neri, belle signore e barboni. Finalmente ho trovato il mio gabbiotto, stretto e piccolo, con un letto talmente corto, da non riuscire nemmeno a stendere le gambe. Mi domando: perché non sono rimasto nella mia patria, chi me l’ ha fatto fare di andarmene? Riuscirò a resistere ventiquattro notti in questo cubicolo? E come farò quando ci sarà un caldo da spaccare le pietre? E chi mi salverà dai mille cattivi pensieri che assaliranno la mia mente? Boh, prego solo Dio di non farmi pentire di avere rifiutato l’offerta di lavoro di una società di assicurazioni per andare alla ventura. Già, perché mi assicura che in America troverò davvero fortuna?

bottoneblu.jpg (846 byte)Don Pietro di PAOLO DI SANTO

Sono seduto accanto al suo letto: è un mucchietto di ossa sotto le coperte e, il viso, solcato dalle occhiaie e da ventagli di rughe, sembra quasi trasparente…

Non ha mai visto il sole questo piccolo, irriducibile papà! E pensare che gli occhi celesti come il cielo del mattino avrebbero meritato tanta luce. L’esile filo che lo tiene legato alla vita, sta per spezzarsi e mai, come in questo momento, voglio credere che nell’al di à esistano spazi liberi e scelte di gioia.

Per papà conosciuto come Don Pietro, alcune parole non hanno mai posseduto un significato. E’ nato “predestinato”, o così almeno, mi è sembrato che fosse, visto che l’ho sentito parlare raramente e mai lamentarsi. La vita in miniera ha rappresentato l’unico scopo del suo stare al mondo: nessuno gli ha permesso di scegliere.

Quando ero piccolo, mi recavo di tanto in tanto nella cava per portargli il pranzo e ricordo la sensazione terribile di claustrofobia che provavo, l’odore di polvere misto a quello del sudore e questi uomini piccoli, perché costretti dalla necessità del lavoro a rimanere tali, che spalavano terra rossa…

Papà preparava il suo carretto e, trascinandolo verso l’uscita della galleria, sembrava inebriarsi di quegli attimi di luce. Ricordo che mi ringraziava a testa bassa e rivolgendosi più al mulo che a me, ripeteva: ”semu travaggliati!” Questa frase è l’origine e il senso della sua esistenza: il lavoro non rappresenta qualcosa da fare, ma l’essenza stessa del vivere, la radice dell’uomo. Dal suo “travaglio” sono nate le nostre cinque vite protette e la mia in particolare. In qualità di ultimogenito, ho potuto godere di tutti i vantaggi di questa famiglia nata dal lavoro.

Mia madre ha sempre sorriso poco; la ricordo rassegnata in ogni atteggiamento e con lo sguardo particolarmente preoccupato, quando papà si sedeva a tavola e diceva: ”sugnu stancu”.

Ai miei fratelli non è mancato nulla ma si sono adattarti ad un mestiere; io ho potuto e voluto studiare ed oggi lavoro dietro una scrivania e cresco mio figlio come un principino.

Papà non è mai riuscito ad esprimere a parole le sue emozioni, ma ricordo con dolcezza certi lampi di orgoglio nei suoi occhi chiari e quell’unica volta che, sollevando in braccio Salvatore (mio figlio) gli disse “papà Roberto deve andare a lavorare!” non usò la parola “travaglio”… io appartenevo ad un altro mondo.

Ci siamo detti così poco papà… Ora mentre ti stringo la mano nodosa, vorrei ringraziarti per la dignità, l’altruismo e l’amore che ci hai dedicato. Mi piacerebbe restituirti tutto!

Nella lirica del Leopardi trovi realizzata in modo perfetto quella sintesi tra temi descrittivi e riflessivi che è la caratteristica dominante della più alta produzione poetica. Esamina tali temi ed analizza le caratteristiche strutturali e metriche dei testi letti.

 Intere generazioni di studenti sono state “stregate” da Giacomo Leopardi, poeta di Recanati, grande esponente del movimento letterario del Romanticismo, definito dai Tedeschi “tempesta ed assalto dei sentimenti”. Questa espressione sembra creata su misura per lo scrittore italiano perennemente in tumulto emotivo, pressato dall’esigenza di scrivere non tanto per comunicare con gli altri, quanto per esprimere i suoi stati d’animo alterati, le sue violente emozioni. Leopardi non ha un pubblico “ideale”, un interlocutore cui si rivolge: riversa sui fogli i sentimenti allo stato puro e, per il miracolo dell’identificazione, trova un numero di lettori addirittura sorprendente.

Credo che questo straordinario successo sia dovuto ai temi che l’autore predilige, ovvero i problemi, le sensazioni, le rabbie e le speranze di ognuno di noi. Leggere i suoi versi significa, inevitabilmente, sentirsi coinvolti, poiché tocca argomenti universali, di PAOLO DI SANTO

La sua storia di vita è strana, in quanto cresce in un ambiente soffocante ed affettivamente freddo, subisce le regole di una famiglia di aristocratici decaduti e stabilisce pochi contatti con il mondo esterno, ricco di fermenti culturali, politici, sociali.

La sensibilità acutissima si rivela fin dai primi anni della sua vita, spingendolo ad un’insofferenza verso l’ambiente recanatese, a coltivare autonomamente le sue passioni, a superare con la forza della volontà le barriere sociali e culturali.

Pur avendo una salute cagionevole non esita ad immergersi nella lettura dei libri, trascorrendo ben sette anni di “studi matti e disperatissimi” (come lui stesso li definisce…) arrivando ad imparare il greco, l’ebraico ed a stendere saggi apprezzati dagli uomini di cultura di tutta la penisola. Ovviamente finisce per danneggiare in modo irrimediabile il suo stato di salute, perdendo anche gran parte della capacità visiva, ma l’amore verso l’arte, è più forte d’ogni altra pulsione.

Un uomo senza limiti, senza difese il poeta di Recanati: traboccante come fonte e privo di protezioni psicologiche. Il suo pessimismo rasenta il desiderio di auto-annullarsi, in quanto non trova vie di scampo nella fede e, in quei sentimenti positivi come l’amore e la gioia.

Abbiamo studiato ed approfondito tre dei suoi idilli più significativi che penso siano stati un “riassunto” della sua concezione di vita.

Innanzitutto devo confessare che le sue capacità di liriche mi hanno lasciato stupefatto; non avevo idea di uno stile così accessibile e superbamente poetico. Il Leopardi, pur non attenendosi rigorosamente alla metrica, crea un ritmo ed una musicalità a dir poco meravigliosi. Usa rime verticali, cioè inserite anche all’interno dei versi, che mi sono sembrate più incisive di quelle baciate o alternate; ricorre spesso ai termini arcaici in onore dei classici e della loro modernità.

Per quanto riguardo il contenuto “L’infinito” mi ha conquistato: è vertigine dell’anima, un elogio alla grande capacità umana di raggiungere l’unica vera libertà, ovvero quella interiore. Nessuna sbarra, nessun letto, nessuna siepe, nessun piccolo paese può rendere prigioniero un uomo che possieda la grande capacità di viaggiare con la mente.

Gli altri idilli “Il sabato del villaggio” e “La sera del dì festa” si richiamano in qualche modo… Toccano entrambi il tema, così attuale e vero del sapore dell’attesa.

In realtà tutta la nostra vita corre sul filo della speranza di un dì di festa: attendiamo le domeniche, i giorni festivi, le vacanze estive e in senso più lato attendiamo di crescere, di provare nuove esperienze, di toccare il cielo della felicità. Inutile negare che le considerazione del Leopardi rispondono a verità: spesso i traguardi non sono all’altezza delle aspettative e la speranza viene delusa. Non sono però d’accordo con lui sull’idea di felicità: egli tende ad inseguirla; io sono del parere che vada colta giorno dopo giorno e assaporata come dono di Dio.

Il poeta tende a crogiolarsi nel dolore, perché è sopraffatto dal panico, cioè dal sentimento dei non credenti. La sofferenza è di stimolo alla creatività, ma non apre la mente ed il cuore a forme più alte di fiducia.

Nella poesia “La sera del dì di festa” l’autore si rivolge per la prima volta ad una donna e ci lascia capire il suo senso di inadeguatezza rispetto al sentimento amoroso. Mi sono chiesto se fosse dovuto alle delusioni ricevute o alla certezza che il suo amore non potesse essere corrisposta da una donna.

Insomma di fronte alla grande capacità lirica, alla sua straordinaria sensibilità sono rimasto senza parole, ma rispetto alla sua concezione di vita mi è venuta una morsa al cuore: mi è sembrato un bruco mai divenuto farfalla e ho sofferto con lui e per lui…

bottoneblu.jpg (846 byte)Tema su Ugo Foscolo di PAOLO DI SANTO

 Nella mia immaginazione la figura di Ugo Foscolo, grande esponente del neo-classicismo e precursore della corrente romantica, appare come un “uomo di trincea” e di “eterno, disperato volo”.

La storia della sua vita, infatti, delinea un carattere inquieto, ribelle, sin da giovanissimo attratto dagli ideali di uguaglianza e di libertà sostenuti alla rivoluzione francese. Dopo le discese di Napoleone in Italia, si instaurò anche a Venezia una repubblica giacobina e lo scrittore che completò nella capitale veneta la sua educazione letteraria, ricoprì subito varie cariche pubbliche.

I suoi   giovanili entusiasmi, purtroppo crollarono ben presto e forse determinarono la predisposizione caratteriale dell’autore.

Napoleone, con il trattato di Campoformio, cedette Venezia all’Austria, mostrando un’assoluta mancanza di rispetto per gli Italiani e per i valore che egli stesso aveva diffuso. Un simile atteggiamento fece crollare le speranze del Foscolo, che, nonostante la profonda amarezza, preferì arruolarsi nell’esercito napoleonico, piuttosto che vivere alle dipendenze di uno stato reazionario come l’Austria. Da questo momento ebbero inizio i suoi vagabondaggi; infatti si recò a Bologna, Genova, Milano e compose autobiografico “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, a cui lavorò per tutta la vita.

Si trasferì anche in Francia dove fece parte dell’armata francese che sbarcò in Inghilterra ed ebbe una relazione con una donna che gli diede la tanto amata figlia. In seguito tornò in Italia, dove portò a termine la grande opera “I sepolcri” e venne nominato professore di letteratura italiano all’Università di Pavia.

Ben presto la sua cattedra venne soppressa, per cui, ancora e sempre deluso, si trasferì a Firenze dove realizzò le “Grazie”, opera rimasta incompiuta.

Dopo la caduta di Napoleone, Foscolo fu invitato dagli Austriaci a dirigere un giornale letterario, ma egli non si fece tentare dal desiderio di rivalsa verso i Francesi e preferì rimanere fedele alla sua libertà di scrittore.

Proprio per tener fede alla sua “nobiltà incontaminata”, scelse l’esilio volontario in Svizzera e poi in Inghilterra dove morì.

L’ho definito “uomo di trincea”, perché scelse una vita sempre in prima linea, coerente con le sue idee e frenetica nel desiderio di servire delle cause. Il suo attivismo politico mette in risalto un’esuberanza di temperamento che venne regolarmente tradita, delusa ma non si arrese alle crudeltà della storia.

Nello stesso tempo la sua visione dell’esistenza non poteva essere rosea. Le esperienze vissute e i crolli di troppo ideali l’ho resero un uomo pervaso da grandissima inquietudine e da cupo pessimismo. Sicuramente anche la vita sentimentale risentì del suo disagio, infatti non riuscì a trovare un “nido” e rimase fino alla fine “uccello di scogliera”…

Le sue poesie sono lo specchio delle vicende che caratterizzarono la sua tormentata esistenza. Abbiamo studiato “A Zacinto” e “Alla sera” e sono entrambe caratterizzaste dai temi delle rimembranze, delle nostalgie, della morte. Foscolo manifesta un’ammirazione smisurata per i classici, tant’è che nella lirica dedicata alla sua città natìa, s’identifica addirittura nell’eroe greco Ulisse, anche se la sua condizione è capovolta rispetto a quella dell’eroe omerico.

“Alla sera” è un sonetto di intensa liricità, ma anche di profonda, coinvolgente tristezza. Il poeta paragona la sera alla morte, in quanto entrambe possono essere dolci e serene e allo stesso tempo tenebrose. Il vero nemico dell’uomo è il tempo, definito “cattivo” che distrugge ogni ideale e tormenta l’individuo con affanni e disillusioni.

Forse l’unico “nido” del Foscolo è stata la grande produzione letteraria, nella quale è riuscito a riversare tute le emozioni, le rabbie e le angosce, senza permettere alla vita di spezzare l’incantesimo della sua ispirazione…

bottoneblu.jpg (846 byte)Italia prima del conflitto di PAOLO DI SANTO

 L’Italia unita fu senz’altro una nazione d’argilla. Poggiava le basi su secoli di divisioni, tirannie, guerre, incomprensioni e non era lontanamente paragonabile, a livello economico e sociale, alle potenze europee affermate, come l’Inghilterra e la Francia. Tuttavia, per l’orgoglio che da sempre ci contraddistingue e per i cattivi governi che, a quanto pare, sono anch’essi una nostra pessima tradizione, volevamo competere con le altre nazioni e non lottare con umiltà per migliorare la nostra situazione interna.

Il colonialismo fu una prova schiacciante di tanta stolta presunzione. Già di per sé l’esplosione dell’integralismo europeo ebbe le caratteristiche della gara: come spesso accade l’avidità rende gli uomini privi di lucidità. Le varie potenze si lanciarono all’assalto dei continenti per motivi economici, ma soprattutto di prestigio e spesso finirono col pagare amaramente la loro supponenza.

L’Italia, pur di non restare esclusa dalla corsa alle colonie africane, tentò la conquista dell’Etiopia, dando per scontato che si trattasse di una nazione di “predoni innocui”. La superbia fu punita in quanto gli Abissini mostrarono di aver capito perfettamente i nostri intenti e di possedere uomini più accaniti e numerosi dei nostri. Subimmo numerose sconfitte e il presidente del Consiglio Crispi rassegnò le dimissioni.

I governi italiani, come ho accennato prima, si alternavano senza garantire alla cittadinanza le riforme e il risanamento di cui aveva tanto bisogno. L’analfabetismo era diffusissimo, il lavoro minorile, soprattutto nel sud, continuava a rappresentare una regola; i contadini vivevano in condizioni di sottosviluppo e i loro tentativi di riunirsi in “Fasci” per protestare furono stroncati con violenza.

Il socialismo, che rappresentava l’unico partito all’opposizione, venne dichiarato fuori legge. Giolitti con la sua politica degli equilibri e dei compromessi tenne a bada il paese per dieci anni e sicuramente apportò delle migliorie, ma contribuì a rendere incolmabile la distanza tra il nord industriale e il sud contadino, ridotto quasi a “colonia” dell’Italia settentrionale.

Iniziarono i famosi movimenti migratori che portarono tanti nostri connazionale a trasferirsi all’estero: sette milioni di essi non fecero più ritorno in patria…

Quest’Italia inconsistente che faceva rimpiangere il patriottismo e gli ardori del secolo precedente, si trovò a fronteggiare le dinamiche europee, sempre più difficili e pericolose. Nei Balcani il nuovo Kaiser, Guglielmo II° sospese la “politica dell’equilibrio” e iniziò un’opera di provocazione contro la Germania, ricca di colonie e animata da movimenti nazionalistici. I Tedeschi vivevano il momento del cosiddetto “pangermanesimo”, ovvero il desiderio di riunire tutti i popoli tedeschi nella Grande Germania; al contrario gli austro-ungarici si combattevano tra loro essendo undici popoli con tradizioni ed etnie diverse.

Dopo i primi scontri  tra i popoli balcanici, alleati della Russia, contro la Turchia, padrona di alcuni territori dei Balcani, entrò in guerra l’Austria scatenando l’odio nazionalista dei serbi.

In Europa vennero a crearsi due blocchi e l’Italia entrò a far parte della Triplice Alleanza con l’Austria e la Germania contro l’Inghilterra, la Russia e la Francia. L’Italia aderì a tale trattato, nel 1882, per uscire dallo stato di isolamento in cui si trovava; per garantirsi l’aiuto di potenze più forti in caso di un attacco francese e per tentare di esportare le proprie merci in Germania in un periodo di così grave penuria economica.

Si potrebbe definire un’alleanza di comodo, o, meglio ancora, di tutela dei propri interesse. La nostra nazione arrivò alle porte del grande conflitto mondiale quasi senza rendersene conto. Fu trainata dall’Europa e dall’esigenza di ottenere dagli stranieri quelle garanzie che i governi non sapevano dare.

Era uno stato minato dalla grande spaccatura tra nord e sud, dall’assenza di una politica interna ed estera valida; dall’emigrazione e dalla nascita della “mafia”, ovvero della prima forma di anti-stato  in Sicilia.

Il potere mafioso estese i suoi tentacoli, avvalendosi del cattivo funzionamento del governo: sopperiva alle carenze, distribuiva lavoro, corrompeva i ministri per avere e dare sovvenzioni. Nessuno riuscì ad estirparlo ed è tuttora il veleno che corrode l’Italia e che è riuscito a ramificarsi in tutto il mondo…

Una nazione così debole non poteva essere pronta alla guerra e, allo stesso tempo, non godeva dell’autonomia e della sicurezza necessarie per evitare di essere coinvolta. Era in balìa di se stessa, dell’Europa, del maturare degli eventi…

bottoneblu.jpg (846 byte)Tre poesie di Ungaretti di PAOLO DI SANTO

 Le tre poesie di Giuseppe Ungaretti, tratte dalla raccolta “Allegria” trattano in maniera concisa ed efficacissima il tema della guerra. Lo scrittore possiede, a mio avviso, la straordinaria capacità di esprimere, in versi liberi, un lirismo struggente e in un linguaggio scarno, diretto, essenziale dei concetti sconvolgenti. Le sue poesie trafiggono la vita come aghi e ci fanno perdere il senso della realtà.

“Sono una creatura” e “San Martino del Carso” si richiamano nel concetto della pietrificazione. Nella prima il poeta allude, nel titolo ad un’idea di umanità che viene rinnegata dal contenuto, che è percorso da motivi di aridità, assenza di vita, durezza. La similitudine tra la pietra di san Michele, ovvero una delle vette del Carso, contese a lungo nel corso della Prima Guerra Mondiale dagli eserciti contrapposti, e il pianto, sembra paradossale, ma, in realtà si viene a creare l’immagine di una pietra prosciugata che assomiglia ad un pianto che non si vede. La conclusione sembra una poesia in sé stessa, in quanto in sole cinque parole Ungaretti ci dà l’idea di una sentenza, affermando che la morte in quanto liberazione dai dolori si può sentire come un bene, un “dono” da scontare attraverso i mali della vita…

In “San Martino del Carso” non è il cuore del poeta a pietrificarsi, ma viceversa, sono gli edifici, le mura del paese ad umanizzarsi. La pietra diviene animata, in seguito allo scempio della guerra…

Il pensiero vola ai compagni dei quali non restano neanche “brandelli”, ma il loro ricordo è vivo nel suo cuore che paragona ad un cimitero, nel quale sono presenti tutte le croci. In questo caso il cuore diviene mondo inanimato, cioè “paese straziato”, poiché la morte di ogni compagno rappresenta un’amputazione del proprio essere.

Le due poesie sembrano un intreccio di sensazioni simili esposte in modo diverso e la terza, “La veglia” appare come pura espressione del dolore, ma anche come fiaccola accesa sulla vita. In essa, infatti, il poeta riassume un anno di guerra in trincea ed esprime gli stati d’animo trovandosi, per la prima volta, di fronte alla morte intesa come esperienza quotidiana, drammatica, violenta, gratuita.

Ungaretti descrive con immagini cupe una notte al fronte, accanto ad un compagno massacrato: indulge sui particolari fisici terribili, quasi per renderci parte integrante dell’orrore. Nella seconda parte della lirica si esprime in prima persona e, sorprendendoci, si apre ad un desiderio di storie belle, quali le sue lettere d’amore scritte nel silenzio, probabilmente per fare esaltare il contrasto tra lo scempio della morte del compagno e la sua voglia di resistere… di attaccarsi disperatamente alla vita. “La chiusa” di questa poesia, al contrario delle altre, mette in evidenza un giovane che, come tenera pianticella, si radica all’esistenza e ne comprende l’infinito valore proprio in rapporto alle atrocità che si ritrova a vedere.

Credo che nulla sia più giusto e sublime di tale concetto: nel dolore si impara a capire il valore di ciò che abbiamo ricevuto in dono e a custodire ogni momento bello come pietra preziosa.

bottoneblu.jpg (846 byte)Riassunto: “Ciàula scopre la luna”di PAOLO DI SANTO

 I protagonisti della bellissima novella di Luigi Pirandello “Ciàula scopre la luna” sono: la miniera di zolfo in Sicilia; il sorvegliante Cacciagallina; lo zì Scarda e soprattutto Ciàula, il “caruso”, ovvero il garzone di fatica di zi Scarda, affetto da demenza e deriso da tutti.

Questo personaggio verista, ricorda molto da vicino “Rosso Malpelo”, cioè il protagonista della novella di un altro grande esponente di tale movimento, ovvero Giovanni Verga.

I due ragazzi sono condannati alla stessa miseria, allo stesso lavoro bestiale e allo stesso sprezzo da parte del prossimo; ma i loro caratteri sono profondamente diversi. Rosso Malpelo non è stupido, ma rabbioso, inselvatichito da una vita che l’ha ferito e tiranneggiato; Ciàula ha il limite della mancanza d’intelligenza, accetta la derisione e appare come una creatura vulnerabile e poetica.

La storia si sviluppa in miniera, dove il sorvegliante Cacciagallina impone ai picconieri di protrarre il lavoro fino all’alba e si accanisce contro coloro che tentano di protestare. Come tutti i vili scarica la sua ostilità soprattutto sui deboli e zì Scarda rappresenta il bersaglio ideale, infatti è anziano e sottomesso.

La figura di questo vecchio viene tratteggiata in modo splendido da Pirandello. L’autore, infatti, nel descriverlo fisicamente si sofferma sulla cecità di un occhio e sulla smorfia che assume in certe circostanze, stiracchiando in modo strano il labbro inferiore. Potrebbe sembrare un atteggiamento di scherno, invece e l’espressione di tutto il dolore che zì Scarda porta nel cuore, da quando una mina è scoppiata nella miniera, uccidendo il suo unico figlio, accecandolo e lasciandogli l’eredità della nuora e di sette orfanelli.

La smorfia serve al vecchio minatore per lasciar scorrere dall’occhio “buono” una lacrima. Il tragitto di questa lacrima, dovuta al sacco lacrimale malato, segna un solco sul suo viso che appare come il riassunto di tutto il vissuto: lasciar cadere la goccia salata è il “vizio” di zì Scarda… ma ogni tanto… al vizio, figlio d’una immensa disgrazia, si aggiunge qualche lacrima rimasta delle troppe versate in occasione della morte di Calicchio.

A mio avviso, Pirandello intende sottolineare la condizione di perenne, acuta sofferenza di quest’uomo, a cui la vita concede ancora solo l’energia per lavorare e sostenere la famiglia.

Ciàula, essendo il suo operaio, lo rispetta, obbedisce incondizionatamente agli ordini e, nella vicenda in questione, accetta subito si svestirsi dell’unico indumento che possiede, per continuare il lavoro. Le grotte della miniera non lo intimoriscono, anzi il saliscendi diurno che è costretto a fare per portare i carichi, gli permette ogni tanto di godere di qualche raggio di sole!

Ciàula ha paura d’un altro buio, quello definito “vuoto…” forse perché non contenuto tra le cave… della notte!

Lo teme dal giorno terribile dell’esplosione della mina che uccise il figlio di zì Scarda e accecò il vecchio. In quella notte atroce il buio aveva indotto nell’anima del ragazzo uno smarrimento così profondo, che si era messo a correre senza meta.

Anche nella notte della novella Ciàula è spaventato dall’idea di dover salire coi carichi sulle scale e scorgere quell’infinita solitudine… Zì Scarda lo carica senza pietà, perché in virtù della legge dei deboli, il ragazzo è l’unico possibile oggetto della sua frustrazione, e Ciàula, tramortito dal peso, arranca verso la salita. Nel corso di essa la paura di affacciarsi sul buio nemico, diventa più forte del dolore, tant’è che emette un verso diverso da quello solido, più roco e straziante.

A questo punto la novello di Pirandello sembra schiudersi come un fiore: il suo verismo non esclude la poesia, anzi, la esalta, infatti il finale è caratterizzato da un lirismo struggente.

Ciàula, arrivato agli ultimi scalini, si trova inondato dalla luce argentata della luna… Lascia cadere il carico, vi si posa sopra e scopre con la purezza del fanciullo , qualcosa che sapeva esistesse, ma non immaginava così radiosa. Sembra che tutto il bisogno di tenerezza, d’amore di questo ragazzo sfortunato si appaghi di tale visione.

Ciàula piange di gioia, non ha più paura, non è più stanco… esce dall’involucro di carne e diviene poesia pura!

bottoneblu.jpg (846 byte)L’itinerario della guerra percorso da scrittori e poeti di PAOLO DI SANTO

 Stiamo ripercorrendo il tragico itinerario della guerra e, senza sorpresa, mi sono reso conto che gli scrittori e i poeti emergono per la volontà di affrontare questo tema, evitando la retorica, i luoghi comuni.

Quasimodo, ad esempio, riesce a regalare immagini, a far ascoltare suoni, ad esprimere rabbia, vergogna, amore con versi limpidissimi, nei quali le metafore, i simbolismi e le analogie sintetizzano le situazione con una potenza che forse un intero libro non possederebbe.

Le sue allusioni ai morti lasciati come “cose” sulle piazze dai Tedeschi, al figlio partigiano appeso al filo del telegrafo, quale novello “Gesù” e ai lamenti dei bambini, innocenti come belati di agnelli, sono più che sufficienti a rendere l’idea dello sterminio, di una violenza gratuita. Il poeta afferma che, in tempo di guerra, è impossibile scrivere versi e fa riferimento alle cetre appese ai salici in segno di protesta… In realtà Quasimodo non smette di scrivere anzi dona alle liriche una forza infinitamente più grande, le trasforma in urla di dolore, in pugni nello stomaco del mondo.

A mio avvio il tacere sarebbe solo un gesto di viltà e non potrebbe trovare spazio in anime grandi. Quasimodo vive il suo tempo, ha sul cuore il piede “straniero” e lancia il suo messaggio denso di provocazione.

Leggendo i suoi versi strazianti non ho potuto fare a meno di accostarlo ad altri artisti e, in primo luogo, ad un altro poeta, Giuseppe Ungaretti, partecipe in prima persona della realtà della guerra e capace di esprimerla nelle sue liriche particolarissime, fatte di immagini, sensazioni, istantanee. Uno stile unico, il suo, slegato da tutti i canoni, essenziale, conciso fino all’inverosimile, eppure capace di trafiggere come una lama.

Le storie degli uomini, coinvolti in tanto orrore, sono “parole tremanti nella notte”, “foglie sugli alberi d’autunno”; “cuori divenuti paesi straziati”.

Dietro i versi di entrambi i poeti, leggo la voglia di denunciare, di sollevare le parole, affinché, come pietre si scaglino contro la dignità calpestata.

Il tema della guerra viene trattato da angoli di visuale simili a quelli dei poeti, anche in molti brani di letteratura.

Nel libro di Marcello Curti “Quando eravamo brava gente” ad esempio, ci siamo trovati di fronte a molte situazioni inerente al secondo conflitto mondiale e alle sue conseguenze. Vorrei far riferimento alla novella “Gli occhi dei bambini” perché credo che riprenda in maniera splendida il tema della dignità, cui ho accennato prima.

Fritz Muller, tenente al tempo della guerra, torna a Marzabotto, dove si sono svolte alcune delle battaglie più cruente di quel periodo, in gita con la famiglia e il nipotino e il destino lo mette di fronte all’uomo che lo vide uccidere a sangue freddo il suo fratellino nel confessionale di una chiesa. Costui gestisce un’edicola, riconosce il volto del carnefice che lo perseguita da una vita e apre una varco doloroso come una coltellata nella memoria del tedesco: non fa riferimento all’accaduto… si limita a complimentarsi per la bellezza del nipotino, per i suoi occhi di cielo… così simili a quelli del fratello…

L’autore ci insegna come le parole possano uccidere più delle pallottole, soprattutto quando scavano nelle paludi dei rimorsi.

Il rimorso è il tema trattato anche nel bellissimo brano di Marino Cassini “Ombre”. Il protagonista, per amore di una donna, ha tradito i suoi amici partigiani, facendo sì che venissero fucilati e, dopo quarant’anni, nel giorno dell’anniversario della fucilazione, subisce una sorta processo-incubo da parte dei vecchi amici.

I fantasmi del passato lo assalgono con tanta ferocia che trascorre un’intera notte nel bosco, tra i fulmini, la pioggia, il fango, a discolparsi e ad invocare pietà. La giuria dei fantasmi, nel terribile delirio, lo condanna ed egli non sopravvive al tormento interiore.

Credo che sia giusto sottolineare quanto sia diversa la dignità dal “cosiddetto “eroismo”. I protagonisti dei vari brani sono pervasi dal terrore, non perché privi di forza, ma in quanto chiamati a dar prova di valore, uccidendo altri uomini.

I brani “La strana guerra Ray” di Gary Paulsen e “La paura” di Federico Di Roberto, sottolineano proprio gli aspetti umani della guerra: la volontà di trasformare in nemici delle creature che potrebbero vivere serenamente insieme.

Il giovane Ray non poteva accettare di star lì a sparare agli altri uomini come al tiro al segno, sentiva che si stava auto-annientando… e poi, come tutti, veniva travolto dall’ingranaggio della macchina della morte: uccidere per non essere ucciso! Quando lo costringono a sparare ai bambini, esce da se stesso, diviene un guscio vuoto, un fantoccio…

“La paura” è un esame feroce dell’insensatezza della guerra, delle sue leggi, dei suoi cosiddetti “premi”…

La voce di tutti questi autori si leva alta, ricorda, provoca, induce a riflettere, a capire il valore della pace.

 

bottoneblu.jpg (846 byte)L’Ottocento e il Novecento sono stati caratterizzati da alcuni movimenti pittorici particolarmente significativi: il romanticismo, l’impressionismo ed il realismo. Stendi una breve relazione tenendo in considerazione: gli avvenimenti storici che hanno determinato tali movimenti; come la realtà è stata letta ed interpretata dagli artisti appartenenti a tali movimenti; con quale mezzo espressivo in prevalenza, hanno costruito le loro opere; quali intenti perseguivano con la loro produzione, di PAOLO DI SANTO

 Abbiamo avuto l’opportunità, grazie alla professoressa Musi, di vedere una selezione delle più famose tele impressionistiche, esposte al Quirinale presso le ex Scuderie papali, un capolavoro dell’architetto Specchi, esponente del Barocco romano. Posso, senza ombra di dubbio, definirla un’esperienza splendida ed arricchente. Sono rimasto letteralmente affascinato dai quadri degli artisti francesi, ovvero Matisse, Cezanne, Gauguin, Renoir, Monet e un po’ meno dal cubista Picasso.

Prima di soffermarmi su alcune delle tele ammirate, vorrei riuscire ad esporre il senso del termine “Impressionismo”. Gli autori di questa corrente erano volti ad evocare le impressioni fuggevoli della realtà. Così come i Romantici tendevano a cogliere la precarietà e l’intensità dei sentimenti umani, gli artisti impressionisti volevano rapire “l’attimo in fuga”, cioè il riverbero del sole, le nuvole in transito nel cielo, il riflesso dell’acqua. I temi prediletti erano proprio quelli della natura, tant’è che i pittori andavano a dipingere dal vero, all’aria aperta, facendo così importanti scoperte sul mutare dei colori rispetto alle diverse ore del giorno. Prediligevano i colori ad olio, ma usavano anche pennelli e pastelli, dando poca importanza ai contorni: il disegno costituiva l’abbozzo, l’idea, i colori rappresentavano il vero contenuto dell’opera.

Questa arte nuova, in un certo senso rivoluzionaria, perché legata alla sfera emotiva, si addiceva ad una società in cambiamento, nella quale ai punti di riferimento classici, si sostituivano quelli della una nuova classe sociale emergente: la borghesia. Alle pitture che esaltavano lo stile la perfezione, le regole si prediligevano pitture rappresentanti personaggi famosi e si dava poca importanza alla decomposizione del colore.

Nell’arte impressionistica, laddove esistevano rappresentazioni di persone, si trattava di figure comuni, esaltate nell’espressività e dagli sfondi paesaggistici ricchi di colore. Basta esaminare un dipinto di Monet “Lo stagno delle ninfee” per carpire l’essenza dell’arte impressionistica: si tratta di un luccichio di migliaia di riflessi che caratterizzano un paesaggio saturo di luce. Cezanne, suo contemporaneo, lo descrisse definendolo “solo un occhio, ma Dio che occhio!”.

Torniamo alla seconda metà dell’ottocento, ovvero al tempo in cui si formò la corrente del Romanticismo. Questo era un movimento culturale che esaltava la libertà, valorizzava il sentimento, il popolo, la nazione.

I romantici erano spesso in contrasto con la società che impediva loro di esprimersi liberamente in tutti gli ambiti, sia quello culturale, sia quello pittorico o letterario; essi tendevano ad esaltare le passioni e il sentimento.

A livello letterario tale corrente portò alla nascita del romanzo storico, i cui grandi esponenti in quel periodo erano Walter Scott, Alessandro Manzoni e anche Victor Hugo, poeta francese, che componeva drammi storici. I romantici rifiutavano la tradizione, i modelli e quindi rifiutavano la mitologia, affermando che l’uomo si doveva battere per la libertà della nazione.

Inevitabilmente si venne a creare una forte contrapposizione tra illuministi e romantici.

I primi sostenevano che dall’età dell’oro la storia era in decadenza ed aggiungevano che il medioevo doveva considerarsi l’epoca dell’ignoranza, mentre per i romantici la nascita dei popoli e dei comuni rappresentava l’inizio di quello che per loro era il concetto di nazione.

Intanto, mentre l’arte impressionistica era sostituita dal cubismo, movimento che esaltava le figure geometriche, alcuni gruppi letterari sostennero la necessità della rappresentazione del reale. Nacque così il realismo, il naturalismo in Francia ed il verismo in Italia. Tutti gli esponenti di questi movimenti nelle loro opere letterarie e teatrali mettevano in evidenza la realtà oggettiva. Essi si spiravano alla concretezza, senza indulgere al sentimento o alle illusioni. Ricordiamo nel campo letterario Verga e Capua in Italia e Zola in Francia.

 bottoneblu.jpg (846 byte)IL ROMANTICISMO: CARATTERI ED ORIGINI: ILARIA CAPUANO

 Tra il 1790 e il 1840, in tutt’Europa si sviluppò un movimento storico, sociale, culturale che esaltava il sentimento, la libertà, la patria, la Nazione, l’individuo: il Romanticismo. Dal punto di vista politico questo movimento si mosse di pari passo con il Liberalismo; infatti, il Romanticismo esaltava la capacità dell’individuo, come ho già detto, e i diritti di ciascun cittadino, proprio come il Liberalismo. Gli artisti romantici rifiutano i modelli, il tradizionale, ed operano in modo del tutto personale, rivoluzionario, tenendo sempre conto dei propri sentimenti e considerando la natura un mistero impenetrabile. In quasi tutt’Europa, i suddetti sentimenti sono i protagonisti del Romanticismo, mentre in Italia tutto questo passa in secondo piano, si pensa di più al lato patriottico del movimento. Si esaltano le libertà dell’individuo e del cittadino e si rifiuta il Cosmopolitismo, ovvero l’uguaglianza di tutti gli uomini del mondo. In Italia, il Romanticismo procede insieme al Risorgimento, di cui è l’espressione. Molti ideali romantici spesso degenerano: l’esaltazione del sentimento si trasforma in Sentimentalismo, l’Individualismo in Velleitarismo, cioè l’aspirazione inutile alla grandezza, con conseguenza delusione; l’idea della Nazione degenera in Nazionalismo, ovvero Fanatismo. Infine, il senso del dolore si trasforma in Vittimismo, ovvero il crogiolarsi sui propri affanni. Ovviamente il Romanticismo è contrapposto all’Illuminismo, poiché questo esalta la ragione, non il sentimento, ritenuto inutile e superficiale. I Romantici sostenevano che, se la ragione aveva portato a bagni di sangue (Rivoluzione francese) i sentimenti potevano portare alla giustizia finale. Molte opere di grandi esponenti romantici sono pervenute fino a noi; a mio avviso, le più rappresentative sono le poesie del Leopardi, grande autore ottocentesco, e le opere del Manzoni, famoso per il celebre romanzo storico “I promessi sposi”. In musica si esaltò il pianoforte ed il violino, ai quali lavorarono grandi musicisti come Beethoven e Wagner. Il Romanticismo ci ha tramandato l’importanza di “leggere” dentro noi stessi e di comprendere meglio il nostro animo.

 bottoneblu.jpg (846 byte)I PRESUPPOSTI DELLA 1° GUERRA MONDIALE: CAPUANO ILARIA

Quella che è passata alla storia come “La grande guerra” fu causata da una serie di circostanze economiche e strategiche. Innanzitutto si formarono delle alleanze: Germania, Austria- Ungheria e Italia strinsero un accordo, chiamato Triplice Alleanza, con cui ognuno dei tre stati si impegnava ad intervenire in difesa degli altri due in caso di guerra; in particolare, la Germania temeva di essere attaccata dalla Francia, come rivincita dopo la sconfitta nella guerra Franco-Prussiana del 1870. Invece, in Italia gli irredentisti (seguaci di un movimento che mirava ad ottenere la restituzione dell’Austria delle due città di Trento e Trieste) protestavano per l’unione con l’Austria, nemica di sempre. Il resto delle grandi potenze (Francia, Russia, Inghilterra) andarono a costituire la Triplice Intesa, per proteggersi dall’espansione tedesca.. La Francia aveva un motivo in più per combattere la Germania: questa, infatti, al termine della guerra Franco-Prussiana si era impossessata dell’Alsazia e della Lorena, regioni ricche di ferro ed in pieno territorio francese. Per l’Inghilterra era lo stesso: la Germania si era creata una flotta degna di poter competere con quella inglese, che fino a quel momento aveva il dominio dei mari. Inoltre, proprio in quel periodo si stava sviluppando un fenomeno di proporzioni enormi: il Colonialismo, ovvero la corsa degli Europei alla conquista di territori anche extraeuropei. La Francia e l’Inghilterra vedevano l’espansione coloniale della Germania e dell’Italia come un ostacolo ai propri interessi. Infatti, gli Inglesi volevano conquistare l’Africa dal “capo al Cairo”, cioè da Sud a Nord, mentre i Francesi miravano ad estendere il proprio dominio da Est a Ovest, ma entrambe erano ostacolate dalla presenza, al centro ed in molte altre zone dell’Africa, della Germania e dell’Italia. Furono tutti questi i presupposti che determinarono, almeno in parte, lo scoppio della 1° guerra mondiale. Sia la Germania, sia l’Inghilterra, sia la Francia credevano che il conflitto sarebbe durato soltanto poche settimane. Tutti sappiamo che, purtroppo, non fu così.

 bottoneblu.jpg (846 byte)PARAFRASI DELLA POESIAIl sabato del villaggio”: di ILARIA CAPUANO Traccia del tema: “ Fai la parafrasi della poesia di Giacomo Leopardi Il sabato del villaggio”

Nella poesia “Il sabato del villaggio”, Leopardi scrive di una fanciulletta che sta tornando a casa dalla campagna con un fascio d’erba in una mano e, nell’altra, un mazzo di rose e viole con cui ornare il suo petto e i suoi capelli, in occasione della festa dell’indomani. Poi, egli descrive una vecchia signora che, seduta a filare insieme alle compagne, racconta della sua giovinezza, di quando anch’ella si faceva bella per la festa e ballava con gli amici. La scena si svolge al tramonto: tutto diventa scuro, il cielo si colora di un azzurro cupo e le ombre si allungano non appena comincia a splendere la luna.

La campana suona, confortando i cuori e annunciando la festa che sta per arrivare. I bambini rumoreggiano, gridando e saltando qua e là nella piazza mentre lo zappatore, fischiando, si accinge a consumare la sua cena, pensando all’indomani, quando potrà finalmente riposare. Il falegname del villaggio seguita a lavorare per tutta la notte, alla luce di un lume, con i suoi attrezzi, sperando di finire il lavoro prima dell’alba Segue poi una riflessione del poeta, che afferma che il sabato è il giorno più gradito della settimana, poiché pieno di gioia nell’attesa della festa, che, al contrario, è spesso, per l’autore, piena di noia, di delusione e densa di pensieri per le fatiche che dovranno essere affrontate il giorno successivo. Infine il Leopardi si rivolge ai più piccoli, invitandoli a godere della fanciullezza, età colma di speranza e attesa dell’età adulta che il poeta, nel suo pessimismo, considera però deludente e triste.

                                

POESIE

bottoneblu.jpg (846 byte)L'UCCELLO: Dario Anastasi

 Dal cielo scese

a pochi metri si fermò,

molliche di pane beccò

in una pozzanghera bevve.

 

Lo guardai,

se ne accorse,

spiccò il volo

verso gli spazi.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)RICORDO INCANCELLABILE: Francesca Caporale

 Dolore d'abbandono

lacrime fuggenti

per chi perde l'anima

nel tremito delle foglie,

nel sussurro del verde.

 

Lì era la libertà,

lì il canto segreto

d'una moltitudine d'uccelli,

lì la corsa

nei prati della vita.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)L'UCCELLO: Francesca Caporale

 Cercava cibo,

offersi briciole;

trepidando indeciso

smarrito mi guardò

volando verso il nido.

 bottoneblu.jpg (846 byte)UN'ESPERIENZA MAGNIFICA: Simone Cardini

 Ai miei occhi apparve

un bianco e lucente uccello:

tenero, indifeso

presso il cancello scese.

 

Piume argentee,

preziosi gioielli indossava:

innocenza e semplicità.

 

Flessuoso diamante,

cercava suoni

per avvicinarsi a noi.

 

Mi mossi,

volò lontano;

svanì come i sogni

più delicati ed importanti

lasciando polvere di nebbie.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)INCONTRO RAVVICINATO CON UN UCCELLINO: Ilaria Capuano

 

 Becchettava un dorato chicco, il piccolo uccellino.

E poi saltellava da un ramo all'altro,

come cercasse un rifugio

che lo riparasse dal gelido vento.

 

Cercai invano di afferrarlo

ma lui volò via,

verso il focoso orizzonte,

per poi scomparire tra le scarlatte nubi.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)LA NATURA: Arianna Alfano

 Incontrastata domina la natura:

piante, alberi, fiori

densi profumi portano all'anima.

 

Un piccolo torrente scorre

pesci veloci scintillano

iridato arcobaleno acquatico.

 

Una moltitudine d'uccelli

danza nella luce.

Nell'erba affondo

nello splendore verde.

 

Un alito m'accarezza,

come musica il vento

attraversa il silenzio

ed errabondo

conduce al cielo.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)IL PASSERO: Veronica Fenza

 L'ali aperte

verso il fiume puntò

dall'alto ramo lassù.

 

Sui ciottoli della sponda si posò,

uno sguardo qua, uno là,

il capo verso l'acqua piegò.

 

Uno sguardo...e volò

un battito veloce;

in mano la briciola mi restò.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)IL GABBIANO BIANCO: Alessandro Dominijanni

 Le ali leggere

sulle onde oscillava;
riposo sembrava cercare

ma di nuovo, sospeso,

sul mare volteggiava.

Schiuma bianca sembrava

perenne esploratore

in cerca di cibo.

 
bottoneblu.jpg (846 byte)IL MARE: Martina Guarracino

 Grande, immenso,

tempestoso

come la vita.

Temo la burrasca,

il frangersi delle onde

sugli scogli.

Amo la sua distesa,

la pace del

suo tranquillo errare.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)UNA CALDA ESTATE: Alessia Manente

 Caldo afoso, corsa folle

su prati di cotone riposo.

Al vento si levarono le rondini:

stridevano come diamanti su vetro.

Nuvole bianche nel cielo,

mucchi di panna fresca:

sensazione piacevole nella bocca.

Rapido le nubi il sole illuminò,

di sfavillanti fiori rifulse il cielo.

fui al galoppo su un bianco destriero:

di libertà intenso desiderio.

 
bottoneblu.jpg (846 byte)SOGNI LONTANI: Luigi Miccio

 Triste panchina sul prato di casa!

Il tramonto rosseggia,

un passero mi si avvicina.

Mesto ed impaurito m'osserva,

non fugge.

Può l'eternità durare un attimo?

Volò lontano

ed i miei pensieri con lui.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)INCONTRO CON UN PASSEROTTO: Laura Costantini

 Nel grande giardino

la quiete regnava,

in una pozzanghera

un passero balzò.

Bevve un po' d'acqua

le piume candide schizzò.

M'avvicinai,

quel fulmine lucente

il volo spiccò,

nel nido tornò.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)L'ASCESA: Marco Fabrizi

 Su un albero si posò,

il capino scosse

in cerca d'insetti.

Smise,

volò nell'erba alta,

sofficemente atterrò

qual fiore nel vento.

Beccò nell'erba,

tentai di catturarlo;

atterrito mi guardò,

il volo spiccò.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)AMICO DI UN'ESTATE: Paolo Di Santo

 Amico di un'estate,

bello  dormir vicini

uniti da una musica

di brividi ed emozioni

raccontando con gli occhi

il miraggio d'amicizia

che non conosce peccato,

non distingue il colore.

 

Amico di un'estate,

bello contare le stelle

nelle magiche notti,

ogni gioia ogni dolore

svanivan nella stretta

di due piccole mani

di uguale calore,

di diverso colore.

 
bottoneblu.jpg (846 byte)AL GABBIANO: Paolo Di Santo

 Una nuvola ci separa:
filtri la sua organza

dipingi cerchi di luce

lasciando arcobaleni

di dolore nel cielo.

 

Mi sembra il canto tuo

un pianto soffocato

mentre ti avvicini

all'acqua cristallina

al cuore mio di brina.

 

Seduto sulla sponda

osservo i tuoi volteggi

il cibo a fior di spuma

il battito vibrante

verso una meta oscura.

 

Quant'è la solitudine?

Quale la tua paura?

Io, legato alla terra,

ad una fissa dimora

non so se la tua vita

fatta solo di voli

conosca anche gli amori...

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)PENSIERI: Fabrizio Zanoni

 Sull'erba

stillante

lacrime di rugiada

camminavo.

 

Un grillo ed una cicala

la quiete straziavano,

nelle mie orecchie

risuonavano.

 

Nella mia mente:

un oceano di pensieri.

 
bottoneblu.jpg (846 byte)L'UCCELLINO DISPERATO: Cristina Tacconi

 Svolazza qua e là

il piccolo uccellino;

la mamma ha perduto.

 

Il suo pianto disperato

nessuno ascolta;

tornerà mai

per lui il sorriso?

 

Un nido scorge.

Vola, vola:

un amico

lo curerà.

 

Un cuore

lo accudirà.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)IL MARE: Alessia Manente

 

 L'onda del mare cristallino si avvicina a me,

lasciando una scia d'acqua

mentre bacia la riva.

Guardo all'orizzonte

osservo il sole tramontar,

il cielo è rosso, rosa, blu.

In cuor mio cresce un amore per il mare,

un amore

che non ha colore.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)L'UCCELLINO: Alessandra Nardi

 Come farfalla leggera

tra le nubi volava,

su un prato si posò,

un insetto mangiò,

il volo spiccò,

fragile e fugace

come il tempo che passa.

 
bottoneblu.jpg (846 byte)L'UCCELLINO: Mariangela Ricciardi

  Su quella roccia

un uccellino vidi;

per qualche attimo

lo fissai.

Fino alla riva di un lago

volò,

un lombrico afferrò.

Con lo sguardo

lo seguii,

verso un pino

volò

il pane nelle mie mani

restò.

 
bottoneblu.jpg (846 byte)LA SPIAGGIA: Luigi Miccio, Alessandro Dominijanni, Simone Cardini, Cristina Tacconi

 Mentre camminavo sulla spiaggia,

osservando il sole tramontare,

mi accorgevo di una luce,

una luce piena di colore.

 

Sulla sabbia immobile

il mare oscillava:

una mitica atmosfera,

in tutto il mondo, s'espandeva

 

le onde sovrastavano i nostri cuori

già alti in una marea d'amore.

 

Le nostre orme s'imprimevano

su un tappeto

ardente e vellutato;

le nostre mani, di nuovo, s'intrecciavano.

 

Ma quel sole alto, rovente,

c'impediva

di continuare quel dialogo

d'intesa e d'amore.

 

 bottoneblu.jpg (846 byte)PENSIERI: Fabrizio Zanoni

A nascondino

giocavo;

un uccellino sbucò nel prato:

piccolo, bello, dorato,

qualcuno l'aveva azzoppato.

 

Con me lo presi

e, dopo averlo curato,

quasi bimbo delicato,

lo lasciai rinnovato.

 

Quale freccia libera

nell'azzurro si librò.

   

bottoneblu.jpg (846 byte)IL PROFILO DEL FOSCOLO di FABRIZIO ZANONI

Ugo Foscolo nacque nel 1778 a Zante, isola dello Ionio, da madre greca e padre veneziano. Nel 1792, dopo la morte del padre, si trasferì a Venezia, dove venne a contatto con le idee della Rivoluzione francese. I sospetti del governo veneziano, riguardo alla sua simpatia per le idee rivoluzionarie, lo costrinsero all’esilio, Quindi, viaggiò per l’Italia, la Francia, l’Inghilterra e la Svizzera e assume diversi incarichi; oltre che poeta e scrittore, fu redattore, giornalista, funzionario del governo e si arruolò, addirittura, nell’esercito napoleonico. Nel 1797, anno del trattato di Campoformio, Foscolo subì una forte delusione, proprio a causa della causa della cessione del Veneto all’Austria da parte di Napoleone, uomo in cui egli aveva riposto tutta la sua fiducia. Nonostante ciò, egli non lasciò l’esercito poiché, benché considerasse Napoleone un traditore, era convinto che le riforme da questi attuate in Italia fossero molto importanti. Le vicende di quel periodo gli ispirarono una famosa opera: “Le ultime lettere di Jacopo Ortis”, nella quale, indirettamente, il poeta esprimeva la sua delusione. Altre sue opere significative furono: i dodici “Sonetti”, i “ Sepolcri”, le “Grazie” ed alcune tragedie. Trascorse gli ultimi anni della sua vita, confortato dalla figlia Floriana, in Inghilterra, dove morì nel 1827. Nel 1871 le sue spoglie furono trasportate a Firenze e, ancora oggi, riposano, nella chiesa di S. Croce, accanto a quelle di atri grandi personaggi. Il Foscolo ha, sicuramente, una concezione piuttosto materialistica dell’esistenza. Sostiene, infatti, che essa è un ciclo perenne di morte e trasformazione della materia, accompagnato da una serie di ideali: la patria, la libertà, la virtù, la poesia che, secondo il suo punto di vista, erano delle illusioni. Esse, comunque, rendendo il poeta dimentico della morte, del nulla eterno, che a questa fu seguito, sono considerate necessarie. Foscolo, senza alcun dubbio, fu uno dei maggiori esponenti della cultura neoclassica sette-ottocentesca.

 

bottoneblu.jpg (846 byte)RELAZIONE SUL LIBRO “NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE: di ILARIA CAPUANO

 Il libro che ho letto s’intitola “NIENTE DI NUOVO SUL FRONTE OCCIDENTALE” ed è stato scritto Erich Maria Remarque. Pubblicato da Arnoldo Mandadori, questo romanzo è un’autobiografia dell’autore, che , però, per raccontare di se stesso ha scelto un personaggio immaginario, il giovane Paolo Baumer. Questi è un tedesco ventenne, che, sollecitato da un ottuso professore, Kantorek, si arruola nelle truppe della Triplice Alleanza, insieme ai suoi compagni di classe. Egli scopre gli orrori della guerra e cerca di non farsi coinvolgere troppo da essa, organizzando un furto d’oche insieme al suo compagno Katzinski ed incontrandosi con un gruppo di ragazzi francesi. La vita di trincea è per lui dura e ostile, uccide i suoi amici e porta una paura folle della morte, che incombe e si materializza tramite le bombe, le granate, le mitragliatrici e tanti altri strumenti di terrore; egli dovrà addirittura uccidere un francese a pugnalate, e si renderà conto che anche i nemici sono essere umani, proprio come lui e che non meritano di essere trucidati in tal modo. Tornando a casa in licenza, Paolo Baumer scopre che oramai la sua vita è stata segnata profondamente dalla guerra     e che il suo paese e i suoi familiari, ciò che ha sempre fatto parte di lui, gli sembrano degli estranei e sono sempre più lontani. Ciò gli appare stano e inverosimile, ma purtroppo la sua giovinezza, la sua innocenza sono state cancellate in un sol colpo dal terribile fuoco della battaglia. Dopo aver perso anche l’ultimo compagno, Katzinski, colpito al collo da una scheggia vagante, Baumer morirà nell’ottobre del 1918, in una giornata molto tranquilla, definita dal Bollettino di Comando Supremo con la frase “niente di nuovo sul fronte occidentale”, da qui il titolo dell’opera. Paolo Baumer è un ragazzo gentile, sensibile e volenteroso, ma anche stravolto e sconvolto dalla guerra. I suoi amici più stretti sono: Katzinski, uomo abile, astuto, intelligente e ingegnoso, e Alberto Kropp, ragazzo dalla “testa quadrata”. Questo libro mi è piaciuto molto perché racconta al guerra dal punto di vista di un giovane soldato, quale è Baumer. In tal modo diventa semplice immaginarlo l’orrore, la paura, il panico e la distruzione che essa semina tra gli uomini. Remarque, il cui vero nome e Remark, ha utilizzato un linguaggio sicuramente comprensibile e molto realistico. Consiglierei il romanzo a chi chiama certe “guerre sante”, perché nessuna guerra, con tutti i suoi orrori, può essere considerata tale.

                                                Archivio | inizio pagina