Gian
Lorenzo Bernini nato
a Napoli nel 1598 e morto a Roma nel 1680 è stato per Roma e
per il seicento quello che Michelangelo è stato per il
cinquecento: dominatore del secolo, con la sua personalità
geniale, le sue imprese artistiche, la vita lunghissima. L’uno
e l’altro furono al servizio di diversi papi, che li tennero
sempre in altissima considerazione e che affidarono loro
incarichi di natura diversa, nonostante essi si considerassero
essenzialmente scultori. Il marmo era la materia da loro
prediletta e come nessun altro seppero infondervi energia e
calore, strappando al blocco le forme che la loro fantasia vi
vedeva riposte. Le opere giovanili: una statua singola, il David
(1623-1624), e due gruppi, il Ratto di Proserpina (1621-1622) e
l’Apollo
e Dafne (1622-1625), che furono eseguiti per la
galleria privata del cardinale Scipione
Borghese. Nel suo David, Michelangelo aveva colto la
fase di concentrazione, quando la forza è ancora compressa in
stasi gravitante e l’azione è solo prefigurata nel pensiero;
Donatello aveva scelto la celebrazione del trionfo; mentre
Bernini s’interessa la momento di massima pregnanza dinamica,
quando l’energia esplode e si fa manifesta nel tendersi dei
muscoli, nella violenta torsione a spirale del busto, nella
fierezza volitiva del volto. Nel
Ratto di Proserpina è in atto un brutale rapimento, e
nell’Apollo e Dafne un tentativo di rapimento che va
tragicamente a vuoto: Apollo, il dio sole, innamorato della
bella ninfa, ma da lei non corrisposto, cerca di prenderla con
la violenza. La fanciulla fugge e chiede alla madre-Terra di
essere trasformata in alloro; sicchè nel momento in cui il
divino spasimante stà per afferrarla, avviene la mostruosa
mutazione: prima una gamba, poi le braccia, mentre la pelle
delicatissima s’indurisce in ruvida corteccia. Il marmo,
docilmente piegato dall’impareggiabile abilità e perizia
tecnica dell’artista, si trasforma in fronde fruscianti. Il Baldacchino
di S. Pietro (1624-1633), un colosso bronzeo di quasi
trenta metri, fu commissionato all’ancor giovanissimo Bernini
da quell’UrbanoVIII Barberini con il quale l’artista
stabilirà un durevole e proficuo rapporto di lavoro.
L’artista per colmare lo spazio sotto la cupola della
Basilica, problema di non facile soluzione, scelse quattro
altissime colonne che s’attorcigliano sul loro fusto, come
giganteschi rampicanti, e che sono raccordate in alto da una
incastellatura di volute a “dorso di delfino”. Questo
“oggetto” non è un’architettura, non è una scultura, non
è una pittura ma centra perfettamente lo scopo. Un altro prodotto tipico del gusto barocco sono le fontane, per le quali
il Bernini inaugura una nuova tipologia, a vasca ribassata: da
quella della Barcaccia (1627-1629) in Piazza di Spagna; a quella
del Tritone
(1642-1643), a forma di conchiglia, esse non si configurano più
come un’architettura, bensì come una forma di spettacolo
all’aperto in cui arte e natura si legano inscindibilmente.
Nella Fontana
dei Quattro Fiumi (1647-1651), in Piazza Navona,
imponenti massi di travertino non lavorato, sormontati da un
obelisco, formano una finta scogliera dalle cui fessure
zampillano getti che vanno ad increspare il largo specchio
sottostante , in un gioco continuamente mutevole di colorazioni
e riflessi,a seconda delle variazioni di luce e d’atmosfera. I
moti dei giganti,che personificano i maggiori fiumi dei quattro
continenti, fino ad allora noti, l’agitarsi delle palme, dei
leoni, dei cavalli, dei caimani, del delfino natante nella vasca
s’intrecciano con i movimenti reali degli scrosci d’acqua.
La fontana ha una funzione celebrativa e di propaganda politica:
è l’immagine del mondo intero che, convenuto su quella piazza
dove era allogato il palazzo di famiglia del pontefice,
Innocenzo X Pamphili, rende a lui omaggio. Il Bernini realizza
completamente la sua idea di un’arte come spettacolo e
propagandistico-pedagogico con la decorazione della Cappella
Corsaro, in S. Maria della Vittoria. Il tema, l’Estasi
di Santa Teresa d’Avila, era
di arduo svolgimento ma egli riuscì ad esteriorizzare il
momento di massima intensità affettiva, seguendo il pensiero
della santa, la quale aveva espresso l’eccezionalità della
sua esperienza. Era questo, il momento irripetibile che
occorreva fissare: la santa, abbandonata su una molle coltre di
nubi, sospira e trascolora in volto alla trafittura
dell’angelo. Bernini, da perfetto tecnico dell’immagine qual
era, sapeva che per rendere plausibile e in qualche modo
comprensibile, una condizione spirituale così esclusiva, era
necessario avvicinarla all’esperienza comune, per mezzo del
coinvolgimento dello spettatore. Perciò Bernini concepisce
l’estasi come una sorta di sacra rappresentazione, data in uno
spazio scenico dove il pubblico solo è ammesso come spettatore,
ma è chiamato a partecipare come attore. Il Bernini sa dare
nuova configurazione, essenzialmente dinamica, allo spazio:
luogo di accadimenti emozionanti, in cui lo spettatore è
chiamato a partecipare. Nominato nel 1629, alla morte del
Maderno, architetto della fabbrica petriana, si dedica al
completamento delle opere che questi aveva lasciate in sospeso,
tra cui il Palazzo Barberini (1629-1632). Il Palazzo apre a pian
terreno un portico e ai piani superiori larghe finestrature,
grazie a queste soluzioni viene impressa alle masse
dell’edificio quell’apertura che le rende del tutto
evidente. Solo con il
Colonnato (1656-1657), però questa concezione spaziale,
tipicamente barocca, darà vita ad un episodio di eccezionale
valore monumentale. Il Bernini ottiene da Alessandro VII
l’incarico di dare una configurazione confacente per
significati e funzioni, alla piazza antistante la Basilica di
San Pietro. La scelta cadde su una recinzione a tenaglia formata
da un porticato dorico a trabeazione piana. Il portico, che nel
primo tratto disegna con la facciata della Basilica un trapezio,
si allarga poi a mò di braccia in due immensi emicicli a
quattro navi: immagine della chiesa che si rivolge al mondo
e che maternamente accoglie nel suo seno i fedeli. E si
tenga conto di quale doveva essere l’impatto psicologico,
misto di sorpresa e commozione su chi arriva dalle strette
viuzze dei borghi medievali allo slargo solenne e magnificente
della piazza, prima che tale effetto fosse in parte vanificato
dall’apertura del rettifilo che ora la congiunge direttamente
a Castel Sant’Angelo. Rientrato dalla Francia, il Bernini
porta a compimento i lavori in San Pietro e si dedica, fra
l’altro al Monumento funebre di Alessandro VII; più che a
commemorare un defunto o invitare alla riflessione morale, un
tale monumento, come pure quello per Urbano VIII, serve a
glorificare la persona del pontefice. In Bernini, accanto
all’artista ce n’è stato un altro, meno pirotecnico ed
appariscente, ma capace di una straordinaria aderenza al vero. I
suoi busti-ritratto e, fra questi i due più famosi: lo Scipione
Borghese e Costanza Buonarelli, visi senza segreti che si
mostrano in tutte le loro sfumature caratteriali. Solo uno
scultore come lui, che era stato pittore, poteva infondere al
marmo quei palpiti e quella mobilità che, solitamente, sono
prerogativa del colore. |