L’architettura
La basilica che oggi è chiamata di S. Apollinare Nuovo fu in origine una chiesa destinata al culto ariano. La fece costruire il re Teodorico, che la dedicò al Redentore. Non vi è dubbio che la costruzione della basilica, quindi, debba essere ascritta al periodo intercorrente fra il 493 ed il 526, che sono gli anni corrispondenti tra l’entrata dei Goti a Ravenna e la morte del loro Sovrano. L'Imperatore Giustiniano attribuì mediante un editto alla Sancta Mater Ecclesia Ravennas, vera Materorthodoxa , tutti i beni che erano stati di proprietà degli ariani. La basilica fu consacrata al culto cristiano dall’Arcivescovo Agnello tra il 556 e il 565. Originariamente la basilica fu chiamata S. Martino ma anche questo nome era destinato a cadere nell’ombra verso la metà del IX secolo, allorché , ad evitare che le sacre reliquie di S. Apollinare, primo vescovo di Ravenna, potessero essere profanate in una di quelle incursioni piratesche che in quel periodo erano abbastanza frequenti lungo le coste adriatiche, fu deciso di trasportare o di far credere di trasportare, le venerate ossa del santo dalla splendida basilica di Classe in quella di S. Martino, assai più sicura perché situata entro il perimetro delle mura della città. Fu appunto a partire da quell’epoca che la chiesa fu comunemente chiamata S. Apollinare, ma con l’appellativo, che conserva tuttora, di Nuovo o in Novo, e ciò non per una contrapposizione di carattere cronologico con S. Apollinare in Classe (la cui costruzione è di qualche decennio posteriore a quella della basilica ariana), ma al fine di distinguerla da un’altra omonima chiesa cittadina, indubbiamente più piccola e più antica, detta ad Monetam Veterem o anche in Veclo. In origine, sembra, che un quadriportico si stendesse dinanzi alla facciata della basilica, che nel corso degli anni fu più volte rimaneggiata. Ad essa s’addossa un semplice e grazioso portico dalle arcate a piano centro, rifatto nel 500. A destra s’innalza uno snello campanile cilindrico alto più di 38 metri: in esso s’aprono delle monofore, delle bifore e delle trifore, che con le loro aperture interrompono la solidità della costruzione, che in questo modo assume un aspetto di maggiore leggerezza. L’interno della chiesa (m 42 x 21 ) è diviso in tre navate da due file di dodici colonne ciascuna. Queste sono di marmo greco e recano incise, spesso, varie sigle e lettere greche che si riscontrano pure in diversi capitelli; si tratta evidentemente di segni di riconoscimento delle officine orientali in cui i marmi furono lavorati. I capitelli tutti di tipo corinzio sono sormontati dai pulvini che servono ad isolare maggiormente dalle colonne le sovrastanti pareti. L’attuale pavimento della basilica si trova ad un livello di circa m 1,20 al di sopra di quello originari. Le colonne sono state portate alla quota odierna all’inizio del secolo XVI e di conseguenza tutti gli archi sono stati rialzati a scapito di una sezione di muratura e più precisamente di quella che in origine si trovava fra la cornice da cui oggi inizia la decorazione musiva e l’allineamento dato alla parte superiore del pulvini. La chiesa è conclusa da una larga e profondissima abside barocca adorna di stucchi e dipinti, ma nel 1950 fu occlusa dalla costruzione di una stretta abside eretta sui resti di un emiciclo, messo in luce durante i lavori di consolidamento della basilica susseguenti ala seconda guerra mondiale. L’abside originale era semicircolare all’interno e pentagonale all’esterno. Durante i lavori di sterro attorno ai muri perimetrali ,nel 1950, furono rinvenuto alcuni piccoli tubi di terracotta con una estremità terminante in forma acuminata: si tratta di quel tipo di materiale leggero che in Ravenna fu utilizzato per la costruzione di cupole e di catini absidali. Sulla linea della divisione tra la navata centrale ed il vano absidale, dove vi sono i gradivi che accusano la sopraelevazione del presbiterio, sono state collocate tre transenne marmoree ed un pluteo. Sono sculture, assegnabili ad eccezione di una al VI secolo, che nel loro intaglio a traforo determinano, mediante l’alternarsi del pieno e del vuoto, e di conseguenza del bianco e del nero, quel tipico chiaroscuro che contribuisce a dar loro un accentuato carattere pittorico. Il pluteo , che è la prima scultura che si incontra a sinistra, raffigura sulla fronte un vaso ansato da cui s’originano due tralci di vite sui quali posano due pavoni affrontati alla croce monogrammatica. L’altare che si trova al centro del presbitero, con una fenestella sulla fronte che lascia intravedere la base interna con i vani per le reliquie , è del VI secolo. A questa stessa età risalgono le colonne di porfidio dell’antico eiborio ed i tipici capitelli che lo sormontano, di cui due sono caratteristicamente bizantini nel loro lavoro e due di tipo egizio – alessandrino. Del VI Secolo è inoltre l’ambone pure esso di marmo che, posto su di un robusto tronco di colonna in uno degli intercolunni della navata mediana, presenta una singolare forma ovoidale. E’ contornato da cornici aggettanti ed è ornato con croci a piatto rilievo poste su globi. La figurazione del Palatium di Teodorico all’inizio della parere destra è singolare non solo perché in essa qualcuno ha voluto riconoscervi riprodotta , con prospettiva aperta, la basilica " discoperta" per cerimonie, ma altresì perché in essa si possono scorgere ancora oggi le tracce evidenti d’una " epurazione " figurativa nei rispetti di quei personaggi che in origine erano stati rappresentati negli intercolunni del portico.
I mosaici
L’interno della basilica racchiude magnifici mosaici eseguiti in epoche diverse da più artisti che la rendono famosa in tutto il mondo. Il superbo rivestimento musivo ricopre per tutta quanta la sua ampiezza le pareti della navata centrale, e pensare che in origine questo marmo musivo era ancora più esteso perché comprendeva anche l’abside e la facciata interna. Inoltre i valori luministici dati dal mosaico dovevano allora trovare una vibrante esaltazione nelle specchianti incrostazioni marmoree dei muri perimetrali, nel pavimento che era il litostrato e nella copertura ai lacunari probabilmente dorati, per cui la chiesa fu anche denominata in coelo aureo . L’attuale decorazione musiva può essere divisa in tre zone orizzontali:
Non è però da credere che tutta questa decorazione sia dell’età di Teodorico. Per la maggior parte risale a tale epoca; ma due larghi tratti sono attribuiti con sicurezza all’età giustinianea e più precisamente all’attività dell’Arcivescovo Agnello, allorché questi riconciliò la chiesa al culto cattolico. A questo periodo risalgono appunto le sontuose figurazioni dei due cortei dei Martiri e delle Sante. Anche le figure dei Tre Magi si sono incontestabilmente rilevate di tale periodo. C’è tra una decorazione e l’altra la differenza di un tempo di circa 40 anni. Tuttavia questo breve periodo riesce a far distinguere due maniere artistiche diverse. Infatti lo stile dei mosaici d’età teororiciana , nonostante l’adozione dello sfondo d’oro, presenta figure in linea di massima espresse con una certa libertà di movimento e con una spontaneità di una immediatezza talvolta addirittura sorprendenti. I mosaici giustinianei invece risentono di una composizione legata a ritmi che si ripetono con una certa costanza, a cadenze che ritornano ad un medesimo intervallo. Nei riquadri con le scene dei miracoli e della passione del Signore , che si distendono rispettivamente sull’alto della parete sinistra e sull’alto della destra, è da rilevare come nei primi, in genere contenenti poche figure, Cristo sia rappresentato giovane ed inberbe, mentre nei secondi, più affollati di personaggi e spesso caratterizzati da una azione più drammatica, appaia sempre avanzato negli anni e barbato. Queste differenze, più che una diversità di tempo denunciano piuttosto una diversità di mani; e forse si può anche affermare che il pittore che eseguì i cartoni dei pannelli della parete destra ebbe una spiccata personalità , giacchè rileva qualità artistiche più alte rispetto all’altro pittore che ideò la decorazione dei pannelli della parete sinistra. Sia sull’una sia sull’altra parete le scene relative ai miracoli ed alla passione del Signore iniziano dal fondo della chiesa. Le prime incominciano con la raffigurazione del miracolo di Cana e terminano con quella della guarigione del paralitico. A quello col miracolo di Cana segue quello con la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Vengono poi, in riquadro, le raffigurazioni della vocazione di Pietro e di Andrea, la guarigione dei ciechi di Gerico e la guarigione della emorroissa. Seguono quindi le scene della Samaritana al pozzo, della resurrezione di Lazzaro, del fariseo e del Pubblicano alla porta del Tempio, della Vedova che offre il suo obolo, la guarigione del paralitico di Cafarnao, la liberazione dell’ossesso e la guarigione del paralitico di Bethesda. Le scene riguardanti la passione di Cristo incominciano con la raffigurazione dell’Ultima Cena e terminano con quella dell’Incredulità di S. Tommaso. Segue Gesù sul monte degli Ulivi, il bacio di Giuda, Cristo dinanzi a Caifa, annuncio della negazione di Pietro, Pilato che si lava le mani, l’andata di Cristo al Calvario infine le Marie al sepolcro, gli Apostoli sulla via di Emmaus e l’incredulità di S. Tommaso. La fascia musiva che si trova all’altezza delle finestre, presenta soltanto delle figure virili - 32 in tutto – in posizione frontale con un rotolo o un libro in mano. Si tratta probabilmente di Profeti . Il disegno è ben netto ed il modellato conserva pienamente il senso del volume : tutto ciò indica con evidenza che il mosaicista era ancora legato alla tradizione artistica ellenistico – romana. Non così si può dire delle due mirabili teorie dei Martiri e delle sante che con il loro lento incedere determinano un tale incessante rinnovarsi di ritmi verticali, che la loro monocorde modulazione richiama subito lo schema compositivo bizantino, nel quale si ritrova più volte e più volte la ripetizione dello stesso motivo. Tutti i personaggi indossano le medesime vesti. Ma le ricamate tuniche d’oro ed i bianchi veli di cui sono adorne le Sante, superano certo in ricchezza e splendore i candidi manti in cui sono avvolti i Martiri, la cui schiera è capeggiata da S. Martino, che è l’unico a portare un pallio color d’ametista. Mentre le Sante, precedute dai tre Re Magi , si dirigono verso il gruppo della Madonna col bambino Gesù sulle ginocchia, i Martiri incedono verso Cristo in trono affiancato da quattro Angeli. Si riscontra in questi due gruppi un così solenne senso di ieraticità, che nell’artista ideatore della composizione si è voluto scorgere un pittore piuttosto incline ad essere suggestionato da schemi formali orientali.
(Barbara e Valentina)