La Jihad

Al termine Jihad si possono attribuire due diverse definizioni; il primo, indica una lotta spirituale di ciascun uomo, il secondo la passione e l'ingordigia. Questa è un obbligo del mussulmano che aspetta di realizzare, su questa terra, la volontà di Dio. Tuttavia, questa, di solito non è considerata un dovere che incombe sull'individuo (fard al'ayn), al pari dei "cinque pilastri della fede" (arkan al-din) che rappresentano i vincoli giuritico-religiosi del singolo credente (che sono: la professione di fede, la preghiera cinque volte al giorno, l'astinenza durante le ore diurne del mese di ramadam, il pellegrinaggio alla Mecca e l'imposta religiosa). Al contrario, per il "piccolo jihad", è considerato un dovere all'interno della comunità, al pari di altri obblighi collettivi. Nel caso della "jihad con la spada" (più noto) si è di fronte ad un obbligo che deve essere adempiuto dalla comunità nel suo insieme, in quanto corpo sociale. Tutti i testi dell'islam classico sono concordi nell'affermare che, solo in caso d'attacco da parte del nemico, ossia solo in caso di guerra difensiva, la partecipazione ad essa diventa un dovere individuale, in tal caso incombe anche sulle donne e sugli anziani secondo le loro possibilità. Viceversa per quanto riguarda lo sforzo per l'espansione dell'islam è sufficiente che un determinato gruppo della comunità (umma) se ne faccia carico: si venne così delineando la figura del cosiddetto mujahid o anche jhazi. Ad ogni modo l'approccio concettuale alla jihad cambiò quando, nel mondo mussulmano, si crearono veri e propri eserciti legati a specifiche realtà statuali e composti soprattutto da schiavi mongoli e turchi. A questo punto la "jihad della spada" fu considerata dall'islam l'unica forma accettabile e giustificabile di violenza dell'umma contro alti gruppi. Solo nel X secolo il termine jihad venne ad acquistare il significato di "azione militare religiosamente giustificata al fine di creare un ambiente universale islamico". Per capire questo nodo bisogna tenere presente che, in tutte le civiltà, la guerra deve avere qualche giustificazione che permette, a chi vi partecipa, di uccidere un'altra persona, pur essendo un nemico. E', appunto, questa violazione di un tabù che racchiude in sé la necessità di giustificare la guerra contro il dar al-harab. Secondo la teoria classica della shari'a solo il legittimo capo della comunità islamica (chiamato Khalifa, imam o amir al-mu'mìnin) era autorizzato a dichiarare e condurre la jihad. Essendo Dio uno ed una la sua comunità, da un punto di vista teorico dovrebbe esistere un solo potere mussulmano e quindi un solo Stato islamico. Così, invece, non fu. Dal VII secolo il dal al-islam si divise, per cui s'inizio a parlare di una pluralità d'entità mussulmane rette da diversi sovrani, a volte in guerra l'uno contro l'altro, ognuno affermando di combattere la legittima jihad. Se un determinato gruppo s'impadroniva di una determinata regione, e poi vi applicava la shari'a, esso era ritenuto legittimo anche se rifiutava la sovranità del califfo, ossia del potere centrale unico cui in teoria avrebbe dovuto spettare il governo di tutta l'umma. Con l'instaurazione di dinastie via via sempre più eterogenee, sorse il problema di conciliare la jihad coranica come mezzo per far trionfare la causa di Dio su tutta la terra, con la manipolazione attuata delle autorità temporali mussulmane che detenevano il potere su territori limitati e che, da un lato cercavano di accrescere il dar al-islam, da l'altro, molto più spesso, miravano a sconfiggere nemici temporali, non di rado anch'essi mussulmani, trovando giustificazioni religiose alle loro personali battaglie. Dopo la morte di Muhammad (632 d.C.) susseguì 'Ali (suo cugino e genero), quindi il potere si tramandò per linea diretta fino a quando, nell'ottavo secolo, il dodicesimo discendente di 'Ali scomparve misteriosamente. Da allora, per gli sciiti, nessun potere è ritenuto legittimo. Di conseguenza, in attesa del ritorno del dodicesimo inam (in quanto mahdi o messia) alla fine dei giorni, non è possibile proclamare una jihad offensiva in quanto manca l'autorità politica e religiosa rivestita di tale prerogativa. Al più si può solo attuare una jihad di tipo difensivo. Da quando fin qui esposto si può affermare che, la jihad, fu utilizzata non solo per affermare la parola di Dio su tutta la terra, ma anche per risolvere problemi temporali, legati alla definizione del potere ed all'autorità. A questo proposito diviene utile un richiamo alle crociate, così spesso e così erroneamente paragonate alla jihad. La jihad indica, infatti, uno stato di conflitto permanente fra dar al-islam e dal al-hard che si concluderà solo con la conversione di tutta la terra all'islam. Le crociate, invece, sono state un fenomeno limitato nel tempo (1095-1270) e nello spazio hanno sempre avuto obiettivi estremamente limitati (sostanzialmente la liberazione della Terrasanta dagli infedeli). Tenendo conto di tale differenza, ben più preciso sarebbe piuttosto avvicinare alla jihad alle missioni cristiane, anch'esse fenomeno eterno che ha come obbiettivo la conversione di tutta l'umanità alla vera fede. Certo, si obbietterà che le missioni sono iniziate pacificamente, tranne casi sporadici (come i conquistadores in America), mentre la jihad è (anche) una disposizione violenta. In sostanza qualsiasi identificazione tra jihad e crociate rimane assolutamente forviante. Eppure questo avvicinamento continua ad essere ripetutamente proposto. La spiegazione di ciò va, con ogni probabilità, ricercata nella confusione che, sia negli studiosi orientali, sia i commentatori di ogni genere fanno, in questi tempi, con l'obbiettivo di presentare l'islam non già come una civiltà complessa, articolata ed in evoluzione, ma come una religione statica, arcaica, "medioevale" e oltretutto caratterizzata da un atteggiamento di violenta ostilità verso il mondo cristiano ed occidentale, creando così uno stereotipo islamico da "condannare".

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