Il Comunismo in Cina
(dall’ ascesa del Partito
comunista alla morte di mao)
Il Guomindang e l'ascesa del Partito comunista
Delusi
dal cinismo mostrato dalle potenze occidentali, i cinesi rivolsero la
loro attenzione all'Unione Sovietica, rappresentata in patria dal Partito
comunista cinese, fondato a Shanghai nel 1921 e che contava tra i suoi
primi membri Mao Zedong. Nel 1923 Sun Yat-Sen accolse i consigli sovietici
relativi alla riorganizzazione del Guomindang e delle sue deboli forze
militari, ammettendo membri comunisti nel direttivo del partito, che dopo
la morte di Sun venne guidato dal generale Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek).
Questi, nel 1926, dalla base militare del partito a Canton, iniziò
la campagna di liberazione nazionale dal potere dei signori della guerra.
Nel contempo, a partire dal 1928, Jiang rovesciò la linea del suo
predecessore e condusse una sanguinosa epurazione dei membri comunisti
del partito, appoggiandosi ai proprietari terrieri e alle potenze imperialiste.
La guerra civile e l'espansionismo giapponese
Il nuovo governo nazionale, stabilito dal Guomindang a Nanchino nel 1928,
dovette così affrontare l'opposizione dei signori della guerra
e agli inizi degli anni Trenta la rivolta comunista guidata da Mao Zedong;
egli, con i capi comunisti Zhou Enlai e Che-teh, costituì, nella
zona montana dello Jangxi, una Repubblica sovietica cinese sostenuta da
un forte esercito e appoggiata dai contadini, attratti dalla prospettiva
di una riforma agraria. Infine, il nuovo governo di Jiang dovette far
fronte all'aggressione giapponese in Manciuria e nella Cina settentrionale,
sfociata nel 1932 nella creazione dello stato fantoccio del Manchukuo,
formalmente affidato alla guida di Pu Yi, ultimo sovrano manciù,
che assunse il titolo di imperatore.
Nel tardo 1934 Jiang riuscì a circondare l'Armata Rossa nello Jiangxi,
ma i comunisti, rotto l'assedio al termine della cosidetta Lunga Marcia,
riuscirono a trasferirsi nella provincia settentrionale dello Shaanxi.
Allarmato dall'avanzata giapponese, un gruppo di ufficiali obbligò
Jiang a stringere un momentaneo patto d'azione antigiapponese con i comunisti,
sospendendo la guerra civile.
Seconda guerra mondiale
Nel 1937 la penetrazione giapponese in Cina sfociò in una vera
e propria guerra. Entro il 1938 il Giappone aveva invaso la maggior parte
della Cina nordorientale, la valle del Chiang Jiang fino ad Hankou, e
il territorio di Canton, sulla costa sudorientale. Il Guomindang spostò
la capitale e gran parte dell'esercito nell'entroterra, nella provincia
sudoccidentale di Sichuan. Durante la seconda guerra mondiale i comunisti,
dalla base di Yan'an, occuparono gran parte del territorio della Cina
del Nord infiltrandosi in molte zone rurali a ridosso delle linee giapponesi.
Riuscirono poi a conquistarsi l'appoggio dei contadini locali, consolidando
le basi del Partito e dell'Armata Rossa e aumentandone sensibilmente le
fila.
La lotta per la supremazia tra il Guomindang e il Partito comunista
Nel 1945, subito dopo la resa del Giappone, la guerra civile
riprese, nonostante un tentativo di mediazione operato dal generale americano
George Marshall, che dopo circa un anno dovette rinunciare all'impresa
(1947). Nel 1948 l'iniziativa militare passò ai comunisti, e nell'estate
del 1949 la resistenza nazionalista crollò. Jiang Jieshi e i suoi
cercarono rifugio sull'isola di Taiwan, mentre il 1° ottobre 1949
veniva proclamata ufficialmente la Repubblica popolare cinese.
La Repubblica popolare
Il nuovo regime, imperniato sui principi del Partito comunista cinese
e del maoismo, diede vita a una struttura di governo fortemente centralizzata.
Obiettivo prioritario del nuovo regime fu la trasformazione della Cina
in una società socialista. Per ristrutturare radicalmente l'economia,
distrutta da decenni di guerre interne, i comunisti adottarono misure
rigorose nel controllo dell'inflazione, organizzarono gli agricoltori
in cooperative e si impegnarono a fondo in un programma teso ad aumentare
la produzione nelle campagne, mentre l'industria veniva gradualmente nazionalizzata.
Una riforma agraria generale fu messa a punto nel 1950, seguita dalla
creazione di fattorie collettivizzate. Il primo piano quinquennale industriale
del 1953 (programmato con l'assistenza sovietica) fu incentrato sull'industria
pesante, a scapito della produzione di generi di largo consumo.
Politica estera
Cina e Unione Sovietica sottoscrissero trattati di amicizia e di alleanza
nel 1950, 1952 e 1954. Durante la guerra di Corea truppe cinesi intervennero
a sostegno del regime comunista nordcoreano, mentre dopo la tregua del
1953 Pechino sostenne la lotta del Vietnam contro i francesi. Nel 1955,
alla conferenza dei paesi africani e asiatici di Bandung, la Cina si pose
alla testa della lotta anticoloniale e della politica del non allineamento.
Pechino, inoltre, si apprestò a conquistare aree territoriali considerate
storicamente cinesi e di importanza strategica fondamentale: nel 1950
truppe cinesi invasero il Tibet. Nel 1954 Zhou Enlai dichiarò ufficialmente
che uno degli obiettivi di Pechino era la liberazione di Taiwan dal regime
di Jiang Jieshi; nello stesso anno si verificarono continui scontri tra
comunisti e nazionalisti per il controllo dell'isola di Quemoy, e solo
nel 1958 fu raggiunto un cessate il fuoco.
Il Grande balzo in avanti
Nel 1956 fu portata a termine l'organizzazione collettivistica dell'agricoltura
con la creazione delle comuni del popolo, unità socioeconomiche
e amministrative di base, con limitata autonomia decisionale, chiamate
a dare attuazione ai programmi produttivi stabiliti dalle autorità
centrali. Due anni dopo fu varato un piano generale di sviluppo economico
a tappe forzate. Slogan del programma era l'effettuazione di un Grande
balzo in avanti, ma il piano portò al conseguimento di risultati
modesti a causa dell'inadeguata pianificazione e di una direzione incerta.
Progressivo isolamento
La situazione peggiorò nel 1960 con la sospensione dell'assistenza
economica e tecnica da parte dell'Unione Sovietica. Tra le due potenze
comuniste erano infatti emersi contrasti ideologici; i cinesi erano particolarmente
critici verso il leader sovietico Nikita Kruscev, accusato di revisionismo
e di tradimento degli ideali marxisti-leninisti. Pechino iniziò
a proporre apertamente la propria leadership come alternativa a quella
sovietica nel mondo comunista, puntando soprattutto a ottenere consensi
tra i paesi non allineati. Tuttavia, i conflitti scoppiati nello stesso
periodo non facilitarono questa politica: nel 1959 truppe cinesi occuparono
territori appartenenti all'India; i negoziati che seguirono si rivelarono
inconcludenti, e le ostilità ripresero nel 1962 quando, nuovamente,
forze cinesi violarono le frontiere indiane (vedi Guerra sino-indiana).

La grande rivoluzione culturale proletaria
Le divergenze tra Mao e il partito dei moderati
pragmatisti si intensificarono. Nel 1959, sostituito dal moderato Liu
Shaoqi nella carica di capo dello stato, Mao conservò quella di
presidente del partito. Il suo carisma ebbe però a soffrire del
fallimento totale del Grande balzo in avanti da lui ideato e fortemente
voluto. La divergenza si trasformò in aperto contrasto nel 1966
quando Mao, sua moglie Jang Qing e altri suoi stretti collaboratori lanciarono
lo slogan della "grande rivoluzione culturale proletaria" intesa
a recuperare lo zelo rivoluzionario del primo comunismo cinese, perduto
a causa dell'imborghesimento dei quadri di governo e dell'apparato burocratico
del partito.
Gruppi di studenti autodenominatisi "guardie rosse della rivoluzione"
invasero le strade, seguiti da giovani lavoratori, contadini e soldati
in congedo, manifestando a favore di Mao e criticando ogni forma di autorità
istituita. Intellettuali, burocrati, funzionari di partito, operai divennero
oggetto di umiliazioni e violenze pubbliche, licenziamenti, e spesso furono
forzati a lavori fisici abbrutenti. La struttura del partito fu annientata,
e molti suoi alti funzionari (tra i quali il capo dello stato Liu e il
segretario generale del partito Deng Xiaoping) rimossi dai loro incarichi
ed espulsi.
Nel biennio 1967-68 le lotte sanguinose tra maoisti e antimaoisti fecero
migliaia di vittime. Alla fine il compito di ripristinare l'ordine venne
demandato all'esercito, guidato da Lin Piao.
Nel frattempo la tensione tra Cina e URSS si era intensificata raggiungendo
il culmine con le accuse di imperialismo mosse ai leader sovietici dopo
l'invasione della Cecoslovacchia. Nel 1969, lungo il fiume Ussuri, in
Manciuria, truppe cinesi attaccarono alcune guardie di confine sovietiche,
creando una situazione che poteva rivelarsi esplosiva.
Gli ultimi anni di Mao
Alla
luce di questi eventi, il IX Congresso del Partito comunista, tenuto nell'aprile
del 1969, cercò di riportare ordine nella situazione interna, componendo
la lotta di potere in corso da tempo ai vertici della nazione. Mao fu
rieletto presidente del partito e il ministro della Difesa Lin Piao (scelto
personalmente da Mao) venne indicato quale suo successore. Alcuni posti-chiave,
tuttavia, vennero affidati a esponenti moderati fautori di politiche pragmatiche,
come il primo ministro Zhou Enlai (unico vero antagonista di Mao per carisma
personale e potere).
Un episodio clamoroso di queste poco decifrabili lotte intestine si ebbe
nel 1971, quando Lin Piao morì vittima di un misterioso incidente
aereo mentre, apparentemente, tentava la fuga dal paese. La preminenza
politica di Zhou Enlai apparve sempre più evidente. Mao lanciò
un nuovo appello diretto alle masse (1973-74) a difesa delle acquisizioni
egualitarie della rivoluzione comunista e contro il "burocraticismo
di partito". Il radicalismo di Mao ebbe ancora modo di esprimersi
nella nuova Costituzione adottata dal IV Congresso nazionale del popolo
nel gennaio del 1975; tuttavia nello stesso anno vi fu la nomina a vice
primo ministro di Deng Xiaoping, vittima riabilitata della rivoluzione
culturale.
In questo periodo le relazioni internazionali della Cina migliorarono
sensibilmente. Nel 1971 essa venne ammessa alle Nazioni Unite (ONU) subentrando
alla Repubblica Cinese (Taiwan), ottenendo un seggio permanente nel Consiglio
di Sicurezza. Nel 1972 il presidente americano Richard Nixon si recò
in visita ufficiale a Pechino, aprendo così la strada a normali
relazioni diplomatiche tra le due potenze (1973); quelle con il Giappone
furono riprese nello stesso 1972.

I successori di Mao
Dopo la morte di Mao e Zhou Enlai nel 1976, si scatenò
la lotta per il potere tra moderati e radicali. Questi ultimi riuscirono
a impedire l'elezione a primo ministro di Deng Xiaoping, che fu addirittura
rimosso temporaneamente dagli incarichi di governo e di partito. Con un
compromesso fra i due schieramenti, Hua Kuo-feng fu nominato primo ministro:
sotto il suo governo prevalse la linea moderata. Per consolidare la propria
posizione, Hua fece arrestare e accusare di diversi crimini i capi dell'estrema
sinistra, la cosiddetta Banda dei Quattro; quindi si concentrò
sullo sviluppo economico della nazione, affidandosi al "partito dei
pragmatisti". Nel 1977 Deng fu reintrodotto nelle sue funzioni di
vicepremier, in base a un organigramma che venne confermato l'anno successivo
dal V Congresso nazionale del popolo


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