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Il Verismo

Il Verismo è un movimento letterario che nasce e si sviluppa intorno alla seconda metà dell’ottocento, periodo in cui infuriano le rivoluzioni nazionali e in cui ci sono notevoli sviluppi sia a livello scientifico che a livello economico. Questo è tuttavia anche il periodo della questione sociale e degli scontri tra classi sociali.
A livello letterario è preceduto da due movimenti particolari: il Positivismo e il Naturalismo che celebrano entrambi la concezione della vita positiva verso le nuove scoperte scientifiche, sostengono che tutti i problemi sono spiegabili tramite leggi scientifiche e che nei romanzi gli autori devono scrivere in modo oggettivo rappresentando tutti gli aspetti dell’esperienza quotidiana.
I maggiori esponenti del Naturalismo francese furono: i fratelli De Goncourt, Maupassat e Zola
Il Verismo si afferma con caratteristiche ben specifiche:
il regionalismo: gli scrittori veristi infatti rappresentavano la realtà di una sola regione anche perché l’Italia non si era unita completamente a livello politico.
il pessimismo: le opere veriste esprimono una visione pessimistica della vita perché anche l’unità dell’Italia non ha portato a un miglioramento della vita delle classi più povere.
l’impersonalità :gli autori veristi scrivono opere oggettive cioè narrando i fatti come fossero completamente estranei alla vicenda e senza mai esprimere propri commenti personali.
il linguaggio :gli autori veristi usano un linguaggio molto semplice in modo che tutti lo possano capire (adottano la lingua nazionale ma fanno uso di parole dialettali).
Gli autori veristi sono numerosi e si concentrano a Milano dove si riuniscono intellettuali di regioni diverse.

Giovanni Verga

Nacque a Catania nel 1840, da una ricca famiglia di proprietari terrieri. A sedici anni compone Amore e patria, I carbonari della montagna (romanzi di ispirazione patriottica). Si iscrisse nel 1858 all’università di Catania ma nel 1861 dovette abbandonare gli studi perché si arruolò alla Guardia Nazionale.
Il soggiorno fiorentino (1865-1872). Iniziò a compiere numerosi viaggi a Firenze, dove nel 1869 si stabilì definitivamente. Qui frequento i circoli letterari e i salotti aristocratici. Scrisse il romanzo epistolare Storia di una capinera (1871).
Il soggiorno milanese (1872-1894). Nel 1872 si trasferì a Milano (à capitale letteraria). Qui Verga frequenta salotti letterari e caffè dove si ritrovano gli artisti; qui conobbe l’ambiente della scapigliatura. Scrive tre romanzi sentimentali: Eva, Tigre reale ed Eros.
Nel 1874 scisse Nedda, prima novella da cui emerge le tematiche siciliane. La protagonista è un’umile contadina che si guadagna da vivere raccogliendo olive.
Caratteristiche:
prevale la narrazione dei fatti e delle azioni, rispetto all’analisi psicologica;
la voce dell’autore è interna alla storia ( narratore onnisciente).
Nel 1876 scrisse Primavera e altri racconti.
Alla fine del 1877 si colloca la conversione verista di Verga.Con Luigi Capuana, arrivato a Milano, formano un gruppo di narratori che si propongono di creare il “romanzo moderno”. Il primo racconto naturalista o verista di Verga è Rosso Malpelo (1878). Scrisse una raccolta di novelle, Vita dei campi 1880 (approfondisce la vita del mondo contadino siciliano), e il romanzo I Malavoglia (1881) (à insuccesso). Nel decennio che va dal 1880 al 1890 compone: Per le Vie (1883), le novelle Vagabondaggio (1887) e Mastro don Gesualdo (1889). Intanto Verga continua a produrre un filone narrativo minore, destinato al grande pubblico: Il marito di Elena (1882) e Drammi intimi (1884). Nella politica segue la Destra storica, che propone un’alternativa agraria al grande capitalismo. Lavorerà a lungo, senza finirlo, al romanzo La duchessa di Leyra; pubblica i racconti: I ricordi del capitano d’Arce (1891) e Don Candeloro e C.i. (1894). Il ritorno in Sicilia (1894-1922). Nel 1893 torna a Catania e cerca di lavorare al teatro, approntando per le scene La lupa e dopo qualche anno scrivendo il dramma Dal mio al tuo (1903). Scrive una novella La caccia al lupo. Nel 1920 è nominato senatore. Muore a Catania nel 1922.

I Malavoglia

Il romanzo ‘ I Malavoglia ’ di Giovanni Verga scritto nel 1881, inserito in una raccolta di opere denominata “Il ciclo dei vinti” tratta di una famiglia di pescatori siciliani che vive onestamente del proprio lavoro nel paese di Aci-Trezza. Per tentare di migliorare le precarie condizioni economiche, essi decidono un giorno di comprare da un usuraio un carico di lupini, per andare a rivenderli oltremare. Nel viaggio però la barca fa naufragio, il carico finisce in mare e Bastianazzo, il capofamiglia, annega. Il nonno e i nipoti, rimasti soli, devono mettersi a lavorare a giornata sotto altri pescatori, per racimolare i soldi necessari a pagare il debito con l’usuraio e a rimettere in sesto la barca. Ma ogni sforzo di ripresa sembra urtare contro un destino avverso: Luca infatti, il più volenteroso dei nipoti. richiamato alla armi per lo scoppio della guerra con l’Austria, muore in battaglia; la madre, già provata dalla precedente disgrazia, muore di colera. La famiglia stessa sembra sfasciarsi: 'Ntoni, il fratello maggiore, diventa sempre più riottoso e si dà al contrabbando, finché non finisce in galera per aver ferito un doganiere; la sorella Lia, come lui ribelle, fugge di casa; infine anche il vecchio nonno, stanco e malato, muore all'ospedale. A recuperare la vecchia casa e a continuare la famiglia resta il giovane Alessi, che raccoglie con sé la sorella superstite, Mena.

Rosso Malpelo

La novella racconta la vita di un ragazzo cavatore di sabbia , conosciuto da tutti con il soprannome di Rosso Malpelo, dato il colore rosso dei capelli. Egli da a tutti l’impressione di essere un giovane cattivo e ribelle nei confronti di tutti, uomini e animali; al contrario è lui ad essere maltrattato .Non si ribella mai ,anzi accetta di essere punito anche se innocente. Egli lavora presso una cava , dove precedentemente lavorò il padre e dove questi morì, travolto da della terra durante un lavoro notturno. Il figlio era presente a questa sventura , e cercò di aiutare il padre grattando la terra a mani nude , ma non ricevette alcun sostegno da parte degli altri minatori. Fu proprio la perdita del padre , mastro Misciu Bestia , a spronare il ragazzo e a farlo lavorare sempre più intensamente nella cava. In seguito conobbe un ragazzo , detto Ranocchio a causa del suo modo di camminare, che tenne sotto la sua protezione e che cercò di aiutare nel solo modo che conosceva : cioè picchiandolo e bastonandolo come con un asino. Ranocchio era l’unica persona che contasse nella vita del giovane ; infatti la madre non lo considerava nemmeno e la sorella lo picchiava , credendo che si trattenesse parte della paga ricevuta alla cava. Un giorno mentre scavava Rosso trovò le scarpe del padre ma il corpo fu trovato in seguito e non fu mai raccontato al giovane che il padre probabilmente fu seppellito vivo sotto la massa di terra che cadde, poiché le sue unghie erano spezzate e rinsanguate.Del padre furono ritrovati anche i calzoni , il piccone e la zappa , e furono restituiti a Rosso. Un altro evento che viene narrato riguarda il vecchio asino , sempre bastonato dal ragazzo , il quale dopo essere morto fu portato lontano dalla cava e abbandonato come cibo per cani.
Anche Ranocchio si ammalò ma continuò a lavorare finché , un giorno Rosso non lo vide più venire alla cava e sentì raccontare dagli altri minatori che era morto. Dopo la morte di Ranocchio , rosso ha perso l’unica speranza di vita che aveva e affronta senza timore tutti gli incarichi affidatogli, tra cui il verificare una nuova via sotterranea che lo porterà a smarrirsi per sempre nel sottosuolo della cava.

Mastro Don Gesualdo

Mastro Gesualdo Motta è un manovale di Vizzini, paese in provincia di Catania, che è diventato, grazie alla sua intraprendenza, un ricco proprietario terriero. Amareggiato dagli egoismi e dalle rivalità dei nobili invidiosi e della sua famiglia, che lo sfrutta e nello stesso tempo gli rimprovera la conquista della ricchezza, sposa Bianca Trao, una nobile decaduta costretta alle nozze per riparare ad una relazione colpevole col cugino baronetto Ninì Rubiera. Il matrimonio si rivelerà un “affare sbagliato”, con la moglie sempre malata e poco incline all’amore e persino alla confidenza, e la nostalgia dell’umile e silenziosa serva Diodata, che con il suo amore sottomesso e disinteressato gli ha dato due figli, sacrificandogli devotamente la propria giovinezza. Isabella, figlia di Bianca ma non di Gesualdo, ripaga il padre degli agi e delle premurose attenzioni vergognandosi di lui e scappando da casa con il cugino Corrado La Gurna, di cui si è invaghita. Per rimediare al guaio e inseguire il suo sogno di affermazione sociale, Gesualdo fa sposare la figlia con il duca di Leyra, un nobile palermitano squattrinato che dissiperà le sue sostanze. Consumato dalle delusioni e da un cancro, dopo tante lotte e fatiche Mastro-don Gesualdo muore solo, tra la fredda indifferenza dei servitori, in una stanza appartata del palazzo dei Leyra, nella grande città, lontano dalla sua casa e dalla sua terra.